L’Agenda digitale e le “regole dell’innovazione”

di 2 Febbraio 2012 0

I temi dell’innovazione digitale hanno trovato accoglienza nell’agenda del governo Monti. Con il decreto “Semplifica Italia” viene dato “ufficialmente” avvio alla realizzazione dell’”Agenda digitale” per l’Italia, con la creazione dei una “cabina di regia” che ha il compito di coordinare gli interventi dei vari attori istituzionali su alcuni obiettivi prioritari: smart communities, open data, e-government, cloud computing, infrastrutture di accesso alla rete, tecnologie digitali per il sistema scolastico e universitario, come recita l’articolo 49 della bozza di decreto (dal sito leggioggi.it, sul sito del governo si può consultare il comunicato stampa). Entro sessanta giorni è prevista l’emanazione di un decreto per definire “il programma e la tempistica delle attività necessarie nonché le modalità di coordinamento dei soggetti pubblici coinvolti, anche attraverso consultazioni con gli enti privati interessati”.
Le valutazioni dell’iniziativa governativa sono contrastanti. Un sostegno incondizionato arriva da Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale: “lo sviluppo dell’economia digitale è finalmente entrato anche in Italia a far parte delle priorità dell’agenda di governo” si legge sul comunicato stampa pubblicato già il 27 gennaio (leggi). Sulla stessa lunghezza d’onda anche Luca De Biase, editor di Nova del Sole 24 Ore, che dal suo blog commenta: “È un libro tutto da scrivere, certo. Ma la prima pagina di questo libro è stata scritta oggi. Secondo me, questa è una buona giornata” (leggi l’intervento).
Scorrendo la discussione in corso su Twitter, il panorama dei giudizi appare dominato da un prevalente scetticismo. “Una cabina di regia non è ancora una #Agendadigitale” scrive Riccardo Luna (@riccardowired) ed Ernesto Belisario (@diritto2punto0) si chiede: “governo nuovo, errori vecchi?”. “Una cabina di regia è un po’ poco…” scrive Anna Masera su La Stampa; mentre su Wired Martina Pennisi è drastica: “Agenda digitale? Una delusione”.
Fortemente atteso il progetto del Governo poggia su due fondamenti. La Digital Agenda for Europe (DAE), adottata dalla Commissione europea nel 2011, fissa il contesto generale e individua 8 macroaree di intervento: Digital Single Market, Interoperability and Standards, Trust and Security, Very Fast Internet, Research and Innovation, Enhanching e-skills, ICT for Social Challenges, International. Nella segnalazione inviata il 12 gennaio al Governo e al Parlamento l’Agcom denuncia “lo scarso peso dell’lCT nella nostra economia” e identifica le urgenze della situazione italiana: alfabetizzazione digitale, e-commerce e transazioni on line, reti di nuova generazione, contenuti digitali, uso sociale delle tecnologie (leggi il testo).

Favorire la moltiplicazione e la crescita degli attori, valorizzare le differenze, per aprire il mercato digitale

Sono molti i fronti d’intervento aperti, come si vede, rispetto ai quali il governo si è per ora limitato ad un rinvio delle scelte operative, giustificando in tal modo un diffuso scetticismo. Ma è soprattutto sull’approccio alla “pratica digitale” che sembrano essere necessari un maggiore coraggio e incisività.
Non basta declinare l’intervento, come appare finora, solo sul versante della semplificazione amministrativa e su quello, assolutamente decisivo beninteso, dei risparmi e dell’efficienza della PA. Banda larga e cluod computing rappresentano le condizioni di base per avviare un percoso di sviluppo digitale. Ma per cogliere tutti i vantaggi in termini di crescita economica complessiva del Paese è necessario fare un passo in più, operare nella direzione di una vera apertura del mercato digitale, che in Italia appare oggi abbastanza asfittico. Vuol dire, innanzitutto, favorire la moltiplicazione degli attori che operano in questo mercato, sia dal lato dell’offerta di contenuti e servizi per i cittadini-utenti, sia da quello dell’offerta di soluzioni e servizi per le amministrazioni e le imprese.

  • Liberare le capacità di scelta e sperimentazione dei decisori pubblici a tutti i livelli e vincere la pigrizia degli appalti quadro riservati ai soliti grandi operatori.
  • Facilitare l’accesso al credito per quelle realtà il cui principale asset (forse, l’unico) è costituito dalle competenze e dalle persone.
  • Disegnare un sistema di incentivi che valorizzi il merito e i risultati prima che le dimensioni e le garanzie reali.
  • Favorire una più ampia disponibilità di prodotti e soluzioni distribuiti e concorrenti, invece di puntare a progetti centralizzati, di costo mantenimento e utilizzo.

Sicuramente non siamo più all’epoca dei pionieri del Web, usciti dalle cantine e dalle università, come i vari Gates, Jobs, Brin, Page, Zuckerberg. Ma ancora oggi continuano ad agire le “regole dell’innovazione” che alle fine del XVIII secolo consentirono nel distretto tessile del Lancashire il perfezionamento e la diffusione della spoletta volante di John Kay, agli albori della Rivoluzione industriale: prossimità agli utilizzatori, continui perfezionamenti successivi, sciame innovativo.