Aprile: nel 1808 nasceva Antonio Meucci

di 16 Aprile 2014 0

Partendo dalla vicenda dell’emigrato Meucci ripercorriamo la storia della nostra  presenza in America attraverso i video Luce.  “Whereas if Meucci had been able to pay the $ 10 fee to maintain the caveat after 1874 no patent could have been issued to Bell”: così il Congresso degli Stati Uniti riconosceva nel 2002 la paternità dell’invenzione del telefono – erroneamente attribuita per oltre un secolo all’americano Alexander Bell – ad un italiano, nato il 13 aprile del 1808 ed emigrato negli Usa  nel 1850, Antonio Meucci.
I cinegiornali non raccontano i massicci sbarchi di emigranti italiani in America alla fine dell’Ottocento e inizi Novecento; troveremo però delle tracce indirette e cercheremo nei servizi del fascismo prima, del dopoguerra poi, il racconto della nostra emigrazione nel mondo. Meucci non poté arricchirsi brevettando la sua invenzione (all’incredibile storia dell’inventore italiano sono dedicati le puntate  di Superquark e de  La Storia siamo noi ) non raggiunse la fama dell’ideatore della radio Marconi che vediamo accolto in pompa magna all’Esposizione mondiale del progresso di Chicago. Diversa la sorte di un italo-americano divenuto illustre, Fiorello La Guardia, un “amico dell’Italia”, come  ricorda la Incom a pochi giorni dalla sua scomparsa, nel  1947: figlio di un immigrato pugliese, farà per anni l’interprete  ad Ellis Island, la porta dell’immigrazione in America, per pagarsi gli studi. Sarà sindaco di New York per ben tre mandati, dal ’33 al ‘46; un servizio Luce annuncia la vittoria del candidato “italiano”. L’italiano d’Americaintervistato nel 1948 “oltre oceano” esemplifica la storia della nostra emigrazione a cavallo del ‘900: contadini poveri, in gran parte provenienti dal sud, che si trasferiscono negli Stati Uniti e che in molti casi riuniscono la famiglia con i ricongiungimenti.

 

Partendo dalla vicenda di Antonio Meucci ripercorriamo con le immagini Luce la storia della nostra emigrazione verso l’America. Dall’inventore morto in povertà alle storie di successo degli italo-americani

Negli anni Trenta i cinegiornali fascisti trasmettono immagini della comunità italiana che, orgogliosamente in festa a New York per la “celebrazione dell’anniversario colombiano”, intona Giovinezza. Naturalmente il regime censura la vicenda di Sacco e Vanzetti e adotta diverse strategie per (non) parlare di emigrazione. I “patrioti pugliesi” che giungono in “pellegrinaggio” a Roma sono “residenti” negli Stati Uniti; nessun accenno all’emigrazione ma tante bandierine in festa per i contadini diretti in Germania per lavoro, e allegri canti di campagna per il “lavoro italiano” a Braunschweig, impiegato nella costruzione di stabilimenti automobilistici. Sono invece emigranti coloro che tornano: “l’Italia richiama i suoi figli sparsi per il mondo”  ne “il ritorno di emigranti”, accoglie affettuosamente 900 connazionali rimpatriati dalla Corsica e  “affrancati dalla servitù del lavoro straniero”.

teresa_ricciardi

Con la Repubblica tutto cambia. La Settimana Incom si mobilita ai massimi livelli nel 1947 – nel servizio è presente il direttore Pallavicini – per lasciare il microfono al governo che, attraverso il Sottosegretario agli affari esteri Giuseppe Brusasca snocciola le cifre della disoccupazione –  2 milioni di italiani senza lavoro – e parla di necessità dell’emigrazione. Nel discorso Brusasca annuncia anche il raggiungimento della quota di immigrazione (5800 domande l’anno) verso gli Stati Uniti. Alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948 la Incom trasmette tre interviste “oltre oceano” (ne abbiamo vista una all’inizio) che esaltano il modello americano in cui lavoro e libertà, economia e diritti sociali  si fondono con maestrìa: parlano il siciliano Vanni Montana – il cui nome in realtà è Giovanni Buscemi, ambiguo personaggio dalla doppia vita, collaboratore del fascismo prima, dei servizi segreti americani dopo –  e Giorgio Baldanzi che rende noto l’”endorsement” del grande sindacato americano, il CIO, al piano Marshall. 1955: ancora viaggi di speranza in America e in Canada nella “partenza dalla Sicilia di famiglie di emigranti”. Ma anche storie di successo che contribuiscono a mutare lentamente l’immagine degli italiani all’estero, a lungo descritti come poveri maleodoranti di aglio o mafiosi. La Settimana Incom mostra il viaggio in Italia di un oscuro calzolaio del Bronx, musicofilo, Gino Prato, divenuto in America una celebrità nazionale per aver vinto un premio da 32mila dollari ad un quiz televisivo. Gli italo-americani di seconda generazione si affermano nello sport, come Joe Di Maggio, nella musica – come il figlio di un padre siciliano e di una mamma ligure, Frank Sinatra, ospite della Rai – nel cinema – ecco Frank Capra in un ristorante romano – e negli anni Cinquanta il Belpaese diventa un modello di stile per la moda, la cucina, gli scooter, le automobili: così racconta l’inchiesta sugli italiani in America che mostra il primo italo-americano eletto al Senato degli Stati Uniti, John Pastore, e che rende omaggio anche a Garibaldi, ospite del nostro Antonio Meucci, nella casa di Staten Island.

 


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Il sito di Ellis Island consente di individuare tutti i passeggeri sbarcati sull’isola