Digital Libraries e patrimonio culturale

di 4 Aprile 2017 0

Raphael’s Tapestries in the Sistine Chapel : Bartoli, Pietro Santi, 1635-1700 (Printmaker) – Raphael, 1483-1520 (Artist)

L’Associazione italiana biblioteche (AIB) e l’Associazione nazionale archivistica italiana (ANAI), insieme all’Associazione Bianchi Bandinelli, all’Associazione italiana docenti universitari di Archivistica e alla Società italiana di Scienze bibliografiche e biblioteconomiche hanno diffuso nella giornata di ieri un articolato commento sull’istituzione di un “Servizio per la digitalizzazione del  patrimonio culturale – Digital Library” presso l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD), disposta da un decreto del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini del 23 febbraio. Le cinque associazioni definiscono l’iniziativa “astratta” e “superficiale”, lamentando il rischio che possa “generare ulteriore dispersione di energie e investimenti rallentando l’integrazione auspicata” (si può leggere il testo del comunicato e il documento di approfondimento sui siti di AIB e ANAI).

Il progetto era stato presentato dallo stesso ministro nel corso di una conferenza all’Accademia dei Lincei lo scorso 10 marzo: “Oggi ho firmato un provvedimento – si legge sul comunicato del Mibact – che verrà finanziato con due milioni per la nascita della Digital Library Italiana che valorizzerà l’immenso patrimonio di immagini conservato nei 101 Archivi di Stato, nelle 46 biblioteche statali e negli archivi fotografici delle soprintendenze”. La notizia è stata ripresa dai principali organi di informazione e La Stampa,  ad esempio, annunciava che “qualcosa sta per cambiare: nasce oggi infatti la Digital Library italiana, una biblioteca nazionale digitale, che avrà l’obiettivo di valorizzare questo sterminato patrimonio diffuso e di renderlo fruibile a chiunque ne faccia richiesta, anche a distanza” (Nasce la Digital Library d’Italia: online 101 archivi e 46 biblioteche, 10 marzo).

Il progetto sin dall’annuncio ha destato alcune perplessità. Il decreto del 23 febbraio si limita ad istituire presso l’ICCD un nuovo servizio “Digital Library”, la cui responsabilità è affidata “a funzionari del Ministero con adeguate competenze in materia”, con il compito di assicurare “il coordinamento dei programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale di competenza del Ministero”, elaborare “il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale”, curarne l’attuazione ed esprimere “parere obbligatorio e vincolante su ogni iniziativa del Ministero in materia”. Nessun cenno, quindi, alla realizzazione di servizi o infrastrutture, come sembra evincersi dal comunicato e dalle parole del ministro riportate dalla stampa; nessun cenno, inoltre, ai 2 milioni di Euro di finanziamento (forse sono definiti in uno dei due decreti di rimodulazione del programma triennale di lavori pubblici, pubblicati il 10 marzo, ma non ancora disponibili sul sito del ministero in attesa della registrazione presso gli organi di controllo). A cosa saranno destinate queste risorse? Al funzionamento del nuovo servizio, a finanziare progetti di digitalizzazione, a realizzare una piattaforma software per gestire la Digital Library?

Le Campo Vaccino
Della Bella, Stefano, 1610-1664 (Printmaker)

In attesa di conoscere le risposte a queste domande, le cinque associazioni definiscono l’operazione “un capolavoro di rimozione e omissione” e sottolineano almeno due notevoli criticità. La prima riguarda l’irrisolto conflitto di competenze tra il nuovo servizio e i compiti “di gestione e coordinamento tecnico-scientifico” attribuite agli altri due istituti (ICCU per le risorse bibliografiche e ICAR per gli archivi). La seconda, le finalità che il nuovo strumento è chiamato a raggiungere, di svolgere una funzione di “acquedotto digitale per convogliare le risorse esistenti”, come si legge sul sito dell’ICCD. Si tratta di un patrimonio rilevante, costituitosi in anni di lavoro e incardinato in diversi portali; una massa di risorse digitali che leggendo il decreto e le notizie di stampa sembra quasi scomparire, essere almeno in parte sconosciute: un milione di risorse digitali pubblicate su Internet culturale, i 16 milioni di schede bibliografiche disponibili su SBN, gli archivi storici pubblici e privati accessibili attraverso il portale del SAN, i 54 milioni di immagini fruibili sul portale Antenati, solo per citare alcuni degli esempi compresi nel comunicato citato.

Quali sono quindi gli obiettivi della Digital Library Italiana? Quali i rapporti con queste e tutte le altre fonti digitali esistenti, sia a livello di amministrazioni centrali che locali, promosse da soggetti pubblici e privati? In definitiva, il documento promosso da AIB e ANAI richiama alla necessità di avviare una discussione su modalità, finalità, strumenti e risorse a sostegno di una politica digitale coerente per il mondo dei beni culturali.

Anche questa discussione non parte da zero.

Proprio negli stessi giorni in cui è caduto l’annuncio del ministro Franceschini l’onorevole Paolo Coppola, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla digitalizzazione della PA, ha lanciato un grido d’allarme sullo stato di attuazione del progetto di Anagrafe unica dei comuni italiani: “sta emergendo uno scenario preoccupante” scrive il 14 marzo sul sito Agenda digitale. Uno dei programmi strategici dell’Agenda digitale italiana, finanziato con 23 milioni di euro, si è rilevato finora un enorme flop: a fine 2016, data di scadenza per l’avvio dell’Anpr (Anagrafe unica della popolazione residente), solo due comuni, Bagnocavallo e Lavagna, l’hanno adottata e, soprattutto, solo il 10% dei Comuni sembra intenzionato ad utilizzare la web app sviluppata da Sogei, “perché dicono che non copre le funzioni necessarie”. Analizzando i motivi dell’insuccesso in una successiva intervista su Repubblica (Anagrafe unica con i dati cittadini: il progetto per fare ordine è finito nel caos, 18 marzo), sempre Coppola segnala quali sono stati, a suo parere, gli errori commessi: l’affidamento per legge della realizzazione del progetto ad uno specifico soggetto attuatore (in questo caso la Sogei, una spa interamente posseduta dal Tesoro), le carenze nella progettazione funzionale, la sottovalutazione della complessità del progetto senza assicurare agli interessati (cioè i Comuni) risorse e competenze necessarie.

A droite, une partie du Colisée, et à gauche, l’arc de Constantin, vue de flanc
Della Bella, Stefano, 1610-1664 (Printmaker)

Dal caso Anpr si possono, a mio avviso, ricavare alcune indicazioni generali per la definizione di una strategia digitale sostenibile: la strada di soluzioni centralistiche, di piattaforme informatiche unificate, buone per tutti e imposte per legge, di fornitori privilegiati, garantiti da una posizione tendenzialmente monopolistica, si è sempre più spesso dimostrata causa di ritardi, inefficienze e sprechi. Speriamo che non sia questa la strada che ha immaginato il nostro ministero con il progetto della Digital Library Italiana.

Negli ultimi vent’anni la rete e il Web hanno rappresentato un incredibile terreno di innovazione, una piattaforma di condivisione e interoperabilità, fondata sui concetti di apertura, decentramento e pluralismo; questo processo di innovazione continua non si è fondato su un coordinamento centralizzato, ma si è nutrito di condivisione (di standard, protocolli, buone pratiche) e pluralità (di attori, piattaforme distribuite, soluzioni). E bene hanno fatto gli estensori del documento da cui siamo partiti a richiamare i principi esposti fin dal 2005 nel “Manifesto per le biblioteche digitali”, ricordando che “le biblioteche digitali mal sopportano il centralismo”. L’integrazione di risorse decentrate, provenienti da una pluralità di sistemi e piattaforme, ha rappresentato la ragione del successo del progetto della Digital Public Library of America (https://dp.la/), partito alla fine del 2010 e che oggi raccoglie oltre 15 milioni di oggetti digitali provenienti da 40 partners. La vitalità e la forza del progetto sono assicurate dall’autonoma iniziativa delle istituzioni che vi contribuiscono, dal progressivo arricchimento delle proprie digital library.

A differenza di quanto si è provato (e si sta ancora provando) a fare per Anpr, con la necessità di un investimento iniziale rilevantissimo e con il rischio di costi di gestione altrettanto ingenti e alla lunga insostenibili, l’alternativa disponibile oggi, al tempo del Cloud computing e del Semantic Web, è rappresentata dalla condivisione di dati e contenuti, liberati dai silos entro cui troppo spesso sono ancora oggi rinchiusi; investire sui dati e non più sulle piattaforme informatiche. Praticare un’alternativa del genere (come già in altri paesi e in altri campi si fa) richiede però di reindirizzare le politiche digitali, liberare le risorse esistenti, realizzare le condizioni perché queste possano esprimersi.

La pyramide de Cajus Cestius
Della Bella, Stefano, 1610-1664 (Printmaker)

Questo vuol dire spostare i flussi di investimento dai progetti speciali alla spese di gestione ordinaria e alla produzione di contenuti, favorire la diversificazione dell’offerta di soluzioni tecniche, investire sulla crescita delle competenze digitali per ridurre le distanze tra esperti di dominio e ingegneri dei sistemi, sostenere la vitalità e l’autonoma iniziativa dei soggetti locali, favorendo l’accesso ai servizi e alle reti (connettività, sicurezza, storage) e assicurandone l’assoluta neutralità, garantire la disponibilità dei dati prodotti da parte di pluralità di soggetti, per alimentare un ecosistema digitale realmente plurale e diversificato.