Giovanni Agnelli, la Fiat e l’Italia

di 24 Gennaio 2013 0

Dieci anni fa moriva a Torino Giovanni Agnelli. Figlio di Edoardo e nipote di Giovanni, fondatore della Fiat; laureato in giurisprudenza nel dopoguerra inizia il suo cursus honorum nelle aziende di famiglia, divenendo presidente della RIV, società di produzione di cuscinetti a sfera.

Tra il 1945 e il 1946 è coinvolto, in rappresentanza della famiglia, nelle trattative con il CLN, per la normalizzazione della conduzione della FIAT: fu lui a firmare l’accordo che permise la ricostituzione del CdA e che riportò Vittorio Valletta, precedentemente estromesso con l’accusa di collaborazionismo, alla guida del gruppo torinese. In questi primi anni lui preferì occuparsi della Juventus e viaggiare in tutto il mondo.

Nel 1953 sposa Marella Caracciolo di Castagneto; nel 1959 assume la presidenza dell’IFI-Istituto Finanziario Industriale; nel 1963 è nominato amministratore delegato della Fiat, di cui, dal 1966, assume la presidenza che manterrà per un trentennio.

Per l’italiano medio, nato e cresciuto in questo paese nella seconda metà del secolo scorso, l’Avvocato Agnelli con la erre moscia, i modi impeccabili e l’orologio allacciato sopra il polsino è la Fiat; e la Fiat è Torino con gli stabilimenti di Mirafiori e le tute blu al lavoro; la Fiat sono le lotte sindacali, l’autunno caldo e poi la marcia dei 40.000 del 1980 che segnerà la più dura sconfitta del sindacato italiano dopo un decennio di importanti conquiste; la Fiat è la Juventus, la squadra più amata e più odiata del panorama calcistico italiano, quella che vince tutto perché ha i campioni migliori secondo i suoi tifosi e gli arbitri sempre dalla sua parte secondo i suoi detrattori; la Fiat sono le macchine italiane, prima la maggior parte e poi proprio tutte; infine la Fiat è il potere, gli aiuti di stato, la cassa integrazione sempre garantita, la costruzione di autostrade che finiranno per mortificare il trasporto su rotaia regalando ad automobili e camion un primato sconosciuto in qualsiasi altro luogo d’Europa.

Agnelli era Torino, la erre moscia, l’orologio sul polsino, la Juventus. Agnelli era la Fiat e la Fiat, per la seconda metà del secolo scorso, era Gianni Agnelli

Nata a Torino nel luglio 1899, la Fabbrica Italiana Automobili Torino è andata nel corso dei decenni allargando il suo campo d’interesse fino a diventare uno dei più importanti gruppi finanziari privati italiani.

Durante il ventennio fascista i rapporti tra l’azienda torinese e il regime furono molto stretti. Ma se da un lato la politica autarchica propugnata da Mussolini aiutò la Fiat a espandersi enormemente sul mercato interno, dall’altro ne frenò quasi completamente lo sviluppo all’estero. Di fatto però se prima del conflitto mondiale la Fiat era al trentesimo posto per capitalizzazione tra le industrie italiane, all’indomani dell’armistizio occupava stabilmente il terzo posto.

La guerra lasciò sul terreno un cumulo di macerie e una produzione ferma a dieci anni prima; ma Valletta prima e Gianni Agnelli dopo seppero risollevare l’azienda italiana. Già nel 1949 viene lanciata sul mercato una delle auto che avrà maggiore successo negli anni a seguire: la 500, un cui prototipo era già stato presentato nel 1936 e che insieme al modello un po’ più grande, la 600, diventerà la rappresentazione iconografica del boom economico italiano.

Gianni Agnelli, come dicevamo sopra, fu presidente della casa torinese dal 1966 al 1996, anno in cui lascerà la guida a Cesare Romiti. Durante i 30 anni della sua guida la Fiat incrementò la vocazione multinazionale e plurisettoriale dell’azienda: dalle aperture al mercato sovietico negli anni sessanta all’accordo del 1976 con il quale la Fiat cedette alla Libia del colonnello Gheddafi il 10% di azioni in cambio di 415 milioni di dollari, denaro fresco di cui la casa torinese aveva enormemente bisogno. L’operazione scatenò reazioni contrastanti in tutto il paese e un’interpellanza parlamentare del deputato missino Servello.

Pur senza esserne direttamente il presidente, Agnelli continuerà a occuparsi dell’azienda di famiglia fino alla sua morte, avvenuta nel gennaio del 2003.

Della famiglia Agnelli si è scritto e detto molto. Alcuni l’hanno identificata con la vera casa regnante italiana; altri l’hanno paragonata ai Kennedy, per il potere esercitato e anche per una certa dose di sfortuna che da sempre ha aleggiato su entrambe le famiglie: sia il figlio di Giovanni, Edoardo, che di Umberto, Giovannino, morirono in giovane età.

Gianni Agnelli in vita è stato idolatrato e detestato quasi in egual misura. Il suo stile lo fanno oggi rimpiangere ai più. Certamente non era un santo e ha spesso anteposto i propri interessi e quelli della sua azienda a quelli del paese. Che solo talvolta coincidevano. Ma l’ha fatto sempre con garbo e sicuramente con più intelligenza di quanti, in questo ultimo ventennio, hanno provato a fare la stessa cosa.