Un ricordo di Tullio De Mauro

Le riflessioni di un appassionato intellettuale sull'importanza delle immagini in un'intervista del 2007
di 11 Gennaio 2017 0

La corsa di De Mauro bambino tra le macerie di San Lorenzo bombardata nel ’43, l’immagine del Duce di libro e moschetto ripreso dalle cineprese LUCE; la battaglia per la preservazione delle cineteche ma anche l’ironia del grande linguista per il ricorso ossessivo allo scatto sempre e comunque; il mondo che cambia, dalle serate in cui si infliggeva agli amici paralizzati  i “terribili filmini” sui primi giorni di vita dei bambini alla superproduzione di immagini (“non mi è chiaro cosa succederà di tutta questa produzione.. se meriterà o richiederà operazioni di salvataggio”, si chiedeva nel 2007).

Sono molti gli spunti in questa intervista che il professor De Mauro rilasciò, nella sua abitazione, il 28 dicembre 2007, a me e al suo allievo David Gargani, oggi ricercatore di semiotica presso l’Università Uninettuno. Il colloquio nasceva all’interno del progetto di un convegno, La memoria visiva di chi pensa e crea, sull’importanza delle immagini, promosso dall’AAMOD e  articolato in due fasi.
Nell’intervista, che riportiamo interamente e che fu pubblicata su nn. 1-2 2009 de Il Mondo degli archivi online – ma, triste paradosso per una rivista di archivisti, non è più accessibile, si può visualizzare solo il lancio in home page –  De Mauro era sollecitato a dire la sua sul potere delle immagini (costrutto mentale o raffigurazione, preciserà il professore) e sul rapporto con la parola, sull’uso didattico delle immagini e sulla loro conservazione. Rispose puntualmente alle domande, con disponibilità, affabilità e ironia: per restituire il tono ecco un’anticipazione della conclusione

AP:  sa che c’è anche un cinegiornale sulla mostra AntiLei? Ci sono tutti questi  i bambini a Torino, alla mostra basata su disegni satirici  umoristici che irridono all’uso del Lei…con il commento sonoro stentoreo…

 T.D.M.: Voi sapete la storia del settimanale Annabella che ora mi pare si chiami Anna. Si chiamava Lei…era un  analogo del settimanale francese Elle…lei la donna… però non si poteva (ride) perché il Lei era vietato anche come pronome femminile di terza persona. Quindi fu imposto il cambiamento di nome. Fiorirono le storielle. Queste le ricordo. Galivoi… Galilei Galivoi: non si doteva dire “lei”… una fioritura continua.. non scritte ma parlate sì.. Poi venivano probabilmente, come le barzellette di preti vengono  dal Vaticano, dall’entourage mussoliniano…

A.P. e D.G: grazie professore!

Roma, redazione del GRADIT

Roma, redazione del GRADIT: tdm e Marco Mancini in atto di lieto e incredulo stupore dinanzi al dattiloscritto di un lavoro terminato (ma non era vero) da Raffaella Petrilli

Mi sarebbe piaciuto ripubblicare questa bella intervista indicando, dopo una ricerca come è consuetudine di chi scrive, tutti gli interventi di De Mauro presenti nell’archivio Rai ma, ahimé, la tv pubblica non rende disponibile agli utenti il proprio archivio limitandosi a proporre materiali preselezionati.

Ecco dunque il resoconto di quel colloquio, pubblicato su Il mondo degli archivi online.

“Intervista – conversazione con il professor Tullio De Mauro, realizzata nell’abitazione del docente  il 28 dicembre 2007,  da Antonella Pagliarulo e David Gargani. L’intervista, che si è basata sui temi del questionario prodotto dalla dottoressa Letizia Cortini, è stata registrata ed in seguito trascritta, rispettando anche il tono colloquiale della conversazione,  da Antonella Pagliarulo.

Antonella Pagliarulo (d’ora in poi A.P) La prima domanda: il rapporto che lei ha con l’immagine. L’immagine rispetto alla sua attività creativa, rispetto alla sua condizione esistenziale. Penso anche all’immagine della “cromatina” nel suo “Parole di giorni lontani”: leggendo ho capito subito la parola, vengo da una famiglia meridionale, la cromatina è la scatoletta.  Come l’immagine poi, proseguendo nel racconto, abbia avuto un rapporto con la sua condizione esistenziale: lei si sveglia di soprassalto perché c’è il mago raffigurato sulla scatoletta che la insegue.  Lei si sveglia per la paura…

Tullio De Mauro (d’ora in poi T.D.M.) Naturalmente stiamo parlando di due cose diverse probabilmente, che Emilio Garroni ha distinto bene, mi pare, nell’ultimo libro. Una distinzione in parte ovvia che però forse va richiamata. L’immagine come costrutto mentale o produzione mentale e figure, o raffigurazioni, oggettive diciamo, in qualche misura. Le due cose sono naturalmente legate ma non coincidono affatto. Ci sono tante raffigurazioni che ci passano sotto il naso senza che diventino qualcosa di rilevante nella nostra produzione di nostre immagini mentali; e viceversa. La domanda quindi è una domanda doppia, quella che lei mi pone in questi termini. Certamente, credo che, come per tutti gli altri esseri umani, la produzione di immagini sia una parte importante della nostra attività mentale e dei nostri affetti. Affetti, ma anche esperienze intellettuali, si legano alle immagini che conserviamo e che produciamo e riproduciamo nella nostra memoria. Immagini di volti, ambienti, situazioni…per quanto riguarda il mondo affettivo. Penso di non avere nessuna esperienza privilegiata da questo punto di vista e probabilmente per altri è ancora più accentuato questo rapporto. Quindi probabilmente gli psicoanalisti ne sanno di più del ruolo che queste immagini possono avere nella vita psichica delle persone per il bene e per il male. Certamente questo vale anche per quelle raffigurazioni, per quelle figure che isoliamo tra le tante che ci passano sotto gli occhi. Credo che questo abbia rilevanza anche per la vita intellettuale, anche quella più astratta.

Mi è capitato di assistere  a discussioni tra due amici, un fisico e un matematico, che giocavano una partita apparentemente a parti inverse nel senso che il fisico era molto affezionato alle formule e a ciò che la lettura delle formule dà nell’interpretazione dei fenomeni; il matematico invece insisteva sul fatto che per lui le formule erano un dato secondario rispetto al vedere e all’immaginare una situazione anche molto astratta di rapporti geometrici, rapporti matematici, proiettandole in un mondo visivo anzitutto. Credo che questo valga anche per altri ambiti di attività intellettuale in cui spesso elaborazioni molto astratte  in realtà sono radicate in immagini che abbiamo;  e da cui partiamo, magari fingendo poi di dimenticarcene. Credo che questo sia spesso un’esperienza di molti che studiano, che riflettono apparentemente in forma verbale e più astratta.

A.P. : Che rapporto ha con le cineteche, le fototeche, con istituzioni pubbliche o private che conservano immagini sia fisse che in movimento? Le consulta, conosce i problemi di conservazione?

T.D.M. All’inizio degli anni Settanta ho partecipato alle discussioni, quasi direi al movimento che si era creato per salvare le teche Rai –  che all’epoca finivano disperse, distrutte… Ricordo anche nel 1975 un convegno a Roma dei sindacati che allora tendevano ad occuparsi di tutto nell’assenza dell’attenzione delle istituzioni.  Il tema dell’importanza storica, documentale, sociale, culturale delle teche, delle raccolte sistematiche delle immagini, era appunto il tema dominante… Il tema credo sia fondamentale. Lì [indica un volume sul tavolo] per caso c’è il volumone sontuoso prodotto dalle teche Rai celebrativo…questo presuppone un grande lavoro che è stato fatto. Come è stato fatto all’Istituto Luce, di salvataggio di immagini ferme, in movimento. Penso che la sensibilità su questo tema sia enormemente cresciuta anche perché la produzione di figure, di fotografie oramai è un fatto abbastanza diffuso. Perfino fastidioso. Quasi non si può più andare a pranzo con un amico senza essere –  non dai paparazzi che non si curano per fortuna di noi, di moltissimi di noi – ma dall’altro amico che improvvisamente si mette a fotografare come uno sta mangiando gli spaghetti… E questo una volta è divertente, due volte comincia ad essere noioso, la terza può essere molto fastidioso. Però questo mostra che c’è ormai un’attività diffusa di produzione di fotografie, di immagini nel senso di raffigurazioni fotografiche. Mentre prima questo era limitato ai terribili filmini sui primi giorni di vita dei bambini – a parte l’attività professionale intendo dire – e le nozze, qualche vacanza… Queste cose venivano inflitte poi a tradimento una sera… ad un gruppo di amici… assolutamente paralizzati. Ormai invece questo dilaga…non mi è chiaro cosa succederà di tutta questa produzione… se meriterà o richiederà operazioni di salvataggio. La ben più rara produzione di fotografie del passato mi pare sia preziosa dal punto di vista del recupero e del salvataggio. Ho promosso e collaborato a più di un’iniziativa di recupero di vecchie fotografie, credo ci sia tuttora molto da fare in questa direzione per il valore documentale che hanno le fotografie, anche le fotografie di singole persone, di gruppi, di situazioni.

Una colazione linguistico-filologica sull'Appia

Una colazione linguistico-filologica sull’Appia; da sinistra tdm, Liana Capitani, allieva pisana di Silvio Pellegrini, e Chico Rossi

Le persone riscoprono molto di se stessi e della loro storia, della storia della comunità cui appartengono mettendo insieme un buon numero di vecchie fotografie. Facciamo ormai per il quarto anno con un consorzio, una fondazione che si occupa di alfabetizzazione digitale delle fasce soprattutto giovani o più deboli della popolazione… una delle cose che cerchiamo di fare è legare questa attività di addestramento di persone anziane da parte di ragazzi abili nell’uso del computer al recupero di storie personali, di storie fotografiche personali, nei diversi centri anziani della città di Roma. Questo sta portando alla luce materiali interessanti e sorprendenti per gli stessi che… quando queste immagini erano messe insieme e ragionate nella loro globalità… per queste stesse persone è una scoperta di quanto senso possano avere queste immagini. Un fatto prezioso anche per noi. Credo quindi che questa possa essere una dimensione importante di esplorazione, di lavoro, di indicizzazione di questi materiali…

Ho promosso e collaborato a più di un’iniziativa di recupero di vecchie fotografie, credo ci sia tuttora molto da fare in questa direzione per il valore documentale che hanno le fotografie, anche le fotografie di singole persone, di gruppi, di situazioni. Le persone riscoprono molto di se stessi e della loro storia, della storia della comunità cui appartengono mettendo insieme un buon numero di vecchie fotografie

A.P. Per quanto riguarda l’uso didattico delle immagini: le usa nell’ambito della sua attività di docente? (Uno dei possibili sviluppi delle iniziative culminate nel convegno del 4-5 dicembre potrebbe riguardare proprio questo tema…)

T.D.M. Credo che questo sarebbe importante. Anzi è importante. Ma nelle condizioni di molta parte delle scuole, ancora di più delle università in cui ho lavorato – la mia esperienza didattica purtroppo è limitata fondamentalmente all’attività universitaria – le condizioni hanno reso per me problematico andare troppo oltre l’uso della lavagna, che ho sempre usato molto. Credo molto nella proiezione grafica, perlomeno…So che molti colleghi delle facoltà umanistiche non hanno questa pratica  e ancora meno tutti abbiamo pratica di uso di immagini. E dove? Come? Nell’aula quinta della facoltà di Lettere in cui io ho insegnato una cinquantina di anni proprio non c’è…sì adesso c’è un telo che cala ma il proiettore non funziona quasi mai. Ci sono delle difficoltà strumentali. E anche una diffusa disattenzione. Molti anni fa un benemerito e saggio rettore dell’Università – Tonino Ruberti – mi aveva, bontà sua, affidato la delega per la didattica nell’università di Roma la Sapienza.

Roma, nei giardini della Sapienza

Roma, nei giardini della Sapienza: con Tonino Ruberti, ministro dell’Università

Avevamo concordato con lui un questionario che abbiamo mandato in giro per vedere, capire, in quali condizioni – erano i primi anni Ottanta, ma le cose non è che siano molto cambiate, un po’ sì ma non molto – si facevano lezioni. La prima cosa che facemmo fu censire i posti a sedere. Che risultavano molto inferiori al numero di sederi che avevano bisogno di una sedia dentro “La Sapienza”…con dislivelli forti in tutte le facoltà. Una delle domande era formulata dicendo: nell’aula dove lei insegna c’è una lavagna luminosa? In generale la risposta era negativa, ma in qualche caso la risposta negativa fu piuttosto bizzarra e –  dopo brevi accertamenti – non ironica… perché avrebbe potuto suonare ironica data la paradossalità. Soprattutto dalle facoltà di Giurisprudenza e di Scienze politiche vennero fuori diverse risposte che dicevano: “Eh io protesto sempre perché la lavagna è messa in modo che non è abbastanza luminosa! … cioè la finestra è in un altro punto e quindi la lavagna non è luminosa” … Cosa fosse una lavagna luminosa era una cosa sconosciuta a molti nostri colleghi, sia perché non l’avevano sia perché non conoscevano la parola…(ride) Non era illuminata dalla luce, lui protestava sempre con il Preside perché la lavagna era al buio. Quindi era un benemerito che evidentemente usava la lavagna… e questo mi pare già un passo avanti nella storia culturale del rapporto tra verbale e visuale della tradizione accademica italiana…

 

A.P. Umanistica forse… i fisici e matematici usano la lavagna…

T.D.M. Umanistica sì. Nelle nostre facoltà è una cosa sconosciuta. Ho combattuto più volte battaglie su questo punto anche nelle sale di conferenze dove ora, finalmente, appaiono schermi, altre “trappole” per effetti speciali, ma l’idea che fosse necessaria anche per associazioni, centri di cultura, case del popolo, fosse necessaria una lavagna… oggi fa ridere… si può dire: oggi sarebbe necessario un proiettore, un power point… cose meravigliose. Quantomeno la lavagna era completamente assente. Ricordo che alla casa della cultura di Roma credo di essere responsabile io del fatto che ad un certo punto fu messa alle spalle di chi parlava una lavagna, che pochi usavano.

Lezione ad Osaka, ottobre 1980

Lezione ad Osaka, ottobre 1980

Naturalmente la lavagna è un attrezzo di scarso pregio anche se, anche se… ormai è possibile con un power point, proiettori, strumenti fare cose meravigliose per l’integrazione con immagini… Con un altro collega informatico sistemista, molto bravo – Giacomo Ciuffi –  ci siamo detti che la lavagna resta impareggiabile. Lo schizzo malfatto sulla lavagna resta impareggiabile dal punto di vista dell’efficacia didattica: il costruirlo sotto gli occhi degli studenti, e poi sbagliare, cancellare, ripristinare, fare meglio una linea, fare meglio un pezzetto dello schizzo, fare osservare quanto è brutto e quanto sarebbe meglio… ecco questo processo è piuttosto importante. Rispetto allo “scodellamento della bella immagine, bella e confezionata. Penso che proprio in sede didattica debba arrivare alla fine. Va bene in una conferenza di servizi, di un’azienda, immagini confezionate da usare subito ma queste sono divagazioni… Insomma credo sia molto importante il ricorso al visivo nell’attività didattica.

Lo schizzo malfatto sulla lavagna resta impareggiabile dal punto di vista dell’efficacia didattica: il costruirlo sotto gli occhi degli studenti, e poi sbagliare, cancellare, ripristinare, fare meglio una linea… ecco questo processo è piuttosto importante. Rispetto allo “scodellamento della bella immagine, bella e confezionata.

A.P. Restiamo all’uso delle immagini nell’insegnamento. Camilleri, nella sua risposta al questionario, scrive che preferirebbe l’insegnamento della storia per immagini piuttosto che attraverso  la parola. Mi sembra che lei non condivida questa opinione…

T.D.M. Io non sono un radicale. Questo mi è stato rimproverato da Fofi (“il De Mauro dovrebbe essere più radicale”). Mi pare di vedere dei limiti in queste posizioni: via la parola! Viva l’immagine. Via l’immagine. Viva la parola!

A.P. Anche Erri de Luca lamenta un’idolatria degli archivi d’immagine, l’immagine ha rubato la memoria. Fa l’esempio del dottor Zivago per sottolineare che il volto di Omar Sharif ha rubato tutto…

T.D.M. Credo che le immagini senza parola valgano poco e viceversa… Posso solo dire che ho cercato sempre di tenere conto di … Negli anni Ottanta sono stato responsabile di un tentativo – che andava molto bene per la verità e che fu stroncato a monte per ragioni politico-amministrative dalla proprietà degli Editori Riuniti – di costruzione di una collana di divulgazione del sapere complessivo (scientifico, letterario, umanistico, naturalistico…). Questa collana di libri che andò avanti, arrivò quasi a 200 volumi, si chiamava “Libri di base”. Le regole di costruzione dei “Libri di base” stabilite d’accordo con l’editore (all’epoca era Roberto Bonchio) [prevedevano] che  il 25% dello spazio perlomeno fosse dedicato esclusivamente ad immagini –  anche grafici naturalmente  – immagini fotografiche,  nella convinzione che questo fosse fondamentale per la lettura e la comprensione di qualsiasi tipo di argomento. Funzionò.

Milano, Libreria dei Ragazzi, 1980

Milano, Libreria dei Ragazzi, 1980: presentazione dei neonati “Libri di base”: tdm e Roberto Denti

Non è stata ripresa in modo organico, sistematico. Ci sono stati dei tentativi… il Mulino fa  una collana che dice di ispirarsi ai “Libri di Base” ma ci sono perlomeno tre cose che non fanno: la prima è quella di avere una produzione di libri volti alla divulgazione a tutto tondo per quanto riguarda gli ambiti del sapere –[invece] è tutta spostata sul versante umanistico, giuridico, un limite grave; la seconda cosa grave che non fanno è curare questa componente iconica delle trattazioni…manca completamente; la terza è aver subìto la risposta del redattore normale di una casa editrice quando uno gli dice bisognerebbe arrivare ad una scrittura semplice…questo è un tipo di reazione che hanno spesso anche gli insegnanti – “ma lo facciamo sempre” – all’analisi si scopre che non lo fanno mai, che correggono qualche parola, qualche svarione, questa è l’attività di editing… ora non voglio estremizzare, attirarmi l’ira di tutte le redazioni di tutte le case editrici italiane, ma non lo fanno sistematicamente. Per quanto riguarda il nostro discorso anche in questi tentativi manca la parte iconica. Che naturalmente ora è molto sviluppata in tante cose, in tanta produzione editoriale. Con scarso coordinamento tra immagine e parola mi pare…anche in questo volume interessante “La storia e la bruttezza” che ha prodotto Eco in questi mesi il coordinamento scricchiola, non è sempre, mi pare, felicissimo, anche se lo sforzo va in questa direzione. Voglio dire siamo al meglio…ma è un aspetto non curato dalla nostra editoria mi pare. O fa volumi di immagini, o fa volumi di parole. Molto lussuosi quelli di immagine, pesantissimi…

 

A.P. Esiste un’etica delle immagini? Dell’uso dell’immagine?

T.D.M. Sì, in alcuni paesi la protezione dell’immagine personale è molto forte, cosa che da noi credo non ci sia proprio. Chiunque si sente padrone di usare l’immagine di persone, luoghi, come crede. Per i luoghi d’arte ora c’è un inizio di protezione rispetto al passato, forse fin troppo; per le persone chiunque può riprodurre le fotografie che vuole di una persona – giornali, la stampa, i mass media; questo apre la porta ad usi indiscriminati – di per sé non è indiscriminato. Credo sia una violazione di diritti alla riservatezza della propria faccia – quando di faccia si tratta, quando non sono cose più osé…

 

A.P: Parliamo della pericolosità dell’immagine: quando si parla di educazione all’immagine per i ragazzi, sottoposti ad un fiume di immagini, e l’immagine può essere menzognera…

T.D.M. l’immagine può mentire certo, anche senza ricorrere ai fotomontaggi naturalmente. Ma questo vale anche per le parole…

A.P: Lei non pensa che l’immagine possa avere un potere maggiore, più suggestivo…

T.D.M. Non credo, non sono sicuro…

Congresso Internazionale dei Linguisti, 1973

Bologna, Piazza Maggiore, dopo la paura della relazione in plenaria “Sociolinguistics and Linguistic Change” al Congresso Internazionale dei Linguisti, 1973


A.P.
Rousseau diceva che l’immagine parla più al cuore…

T.D.M. Credo siano modi diversi ma… Sa cosa dicevano i gesuiti, che avevano individuato questo peccato, questa forma di menzogna, nel Seicento, che chiamavano “repressio veri et suggestio falsi”… pensavano essenzialmente al parlato. Se racconto un pezzetto di una biografia e taccio l’intorno, questo ha un effetto devastante. Anche se mi servo delle parole… come catturare un’immagine, una sequenza è dire “questa è la tal persona”. Non credo ci sia grande differenza. L’effetto di verità è maggiore? Non sono sicuro. Credo ci sia di nuovo un parallelismo forte. Roland Barthes ha inventato la parola biographema pensando alla fotografia e alla narrazione contemporaneamente. Biographema come episodio saliente che ciascuno di noi   – magari senza prave intenzioni –  raccontando di se stesso mette in evidenza di tutto un tessuto complicato di storie, eventi… isola un fatto nel narrare, nel fotografare. Si ricorre a biographemi sia parlando che iconizzando penso. Gli effetti di distorsione possono essere gli stessi, non credo ci sia da avere maggiore fiducia o sfiducia nell’uno o nell’altro canale.

 

AP. Chiedo al prof. De Mauro se vuole aggiungere qualcosa. Il professor De Mauro si allontana per prendere e farci omaggio di due preziose copie dell’Album glottofotografico, una “selezione di fotografie linguistiche” pubblicate, con l’aiuto editoriale del figlio, per i 70 anni del linguista. Illustrando il libro il colloquio riprende…

T.D.M. Ho preparato una raccolta di vecchie fotografie… di fotografie di situazioni pubbliche in cui mi ero trovato – congressi, convegni, tavole rotonde, quadrate… negli anni. Ormai questi materiali si trovano dappertutto, ma negli anni Sessanta, Settanta, anche Ottanta erano più rari, e soprattutto non venivano raccolti.  Con mia moglie abbiamo messo insieme questa cosa, mio figlio si è fatto editor gentilmente senza apparire, ha impaginato queste cose, le abbiamo stampate a spese nostre e regalate…Questo le dice quanto sono rispettoso delle immagini.

 

David Gargani (d’ora in poi D.G) Ci sono figure che storicamente hanno lasciato una traccia nella sua esperienza personale – un film, una fotografia, un poster?

T.D.M. Non so se l’ha scritto Benedetto Vertecchi, gliel’ho sentito dire… molte cose che noi riteniamo di sapere sono legate alla persistenza, alla memoria di immagini, che abbiamo… di immagini isolate, più o meno debitamente isolate dal contesto e che anche in momenti storici – la rivoluzione russa, la rivolta di Praga, di Budapest per parlare di fatti relativamente recenti, anche se per i ragazzi sono preistoria remota;  quello che sappiamo è largamente legato ad un’immagine, magari una copertina… o  Piazza Tienanmen… il ragazzo dinnanzi al carro armato. Per noi la Storia è li, si sviluppa verbalmente e ritorna a quel punto legato all’immagine…

Molte cose che noi riteniamo di sapere sono legate alla persistenza, alla memoria di immagini, che abbiamo… di immagini isolate, più o meno debitamente isolate dal contesto…Per noi la Storia è li, si sviluppa verbalmente e ritorna a quel punto legato all’immagine

A.P. Una curiosità: del fascismo che immagine ricorda?

T.D.M Il fascismo, seppure da bambino, l’ho vissuto in tanti modi…quindi non solo immagini ma memorie di discorsi… una memoria più articolata, che non affidata a immagini di Mussolini o di manifesti. Anche naturalmente…

A.P. Della guerra anche…

T.D.M. Certo. Anche qui, non figure, ma immagini private. Bombardamento di Roma del 19 luglio ’43 me lo ricordo perché… suoni e immagini…mio padre allora era andato all’inizio della Via Tiburtina da mio zio che era lì […] Aveva, e la famiglia continua ad avere, una fabbrica di dolciumi eccellenti,  il top di cioccolati e dolciumi.  Loro si chiamavano De Mauro, la fabbrica società italo-elvetica, qualcosa del genere…Era andato lì a trovare questo mio zio, la mattina del 19 luglio. Io abitavo allora a Porta Pia sono andato di corsa, finito il bombardamento, a cercare di capire che cos’era successo.

Allora in via dei Reti ricordo un mucchio di cadaveri… ammucchiati a piramide… un ricordo difficile da dimenticare. Correvo e tutto il quartiere, tutto San Lorenzo distrutto, la fabbrica era tutta diroccata… per fortuna si erano salvati, sia mio padre, gli altri operai avevano fatto a tempo a ripararsi in qualche rifugio. Allora ricordo… sì, con le immagini. Naturalmente le immagini di Mussolini erano da tutte le parti. Non si limita solo a questo la memoria anche iconica, anche di figure e di immagini private.

 

D.G.: Dei cinegiornali ha memoria? Ricorda di averli visti al cinema?

T.D.M: Beh certo, era normale. Veniva proiettato normalmente il cinegiornale. Ricordo quelli che ho visto ora, di quel tempo. Direi che a quel tempo non ne ho un ricordo particolare. Eppure li vedevo. La proiezione era obbligata ma […] non ricordo particolari. Mentre ricordo immagini di film, ma non di documentari, non di film Luce. Anche perché venivano poi probabilmente censurati per ciò che potevano avere di più. Ricordo una bellissima sequenza del discorso “Libro e moschetto”, abbastanza interessante… però è stato tutto tagliato. Quel che il film Luce tira fuori è l’immagine di Mussolini che brandisce il libro e il moschetto e dice la frase storica. Tutta la sequenza, che è conservata, è di enorme interesse, perché… sapeva di essere ripreso ma non era una dimensione a cui era sensibile, come era sensibile invece al  rapporto verbale e anche di immagine che costruiva con la folla…

Non so se ricordate: ad un certo punto del discorso, della sequenza si vede che  lui si interrompe, prepara la scena, ritorna indietro, poi ritorna al balcone, si rivede sul balcone e fa la faccia proprio di chi dice: “mo’ vi frego io, ora vedete che cosa vi preparo!” (ride)… non sapendo che questa faccia sarebbe stata eternata ma non mandata mai all’epoca… e poi brandisce il libro e il moschetto e dice la frase storica… Questo è un documento molto bello ma tutto questo è tagliato via… resta solo l’immagine finale…

A.P.  Anche molte fotografie sono state selezionate…

T.D.M. Certo… ci sono molte cose certamente interessanti negli archivi…

 

A.P. Sa che c’è anche un cinegiornale sulla mostra AntiLei?Ci sono tutti questi  i bambini a Torino, alla mostra basata su disegni satirici  umoristici che irridono all’uso del Lei…con il commento sonoro stentoreo…

T.D.M.: Voi sapete la storia del settimanale Annabella che ora mi pare si chiami Anna. Si chiamava Lei…era un analogo del settimanale francese Elle…lei la donna… però non si poteva (ride) perché il Lei era vietato anche come pronome femminile di terza persona. Quindi fu imposto il cambiamento di nome. Fiorirono le storielle. Queste le ricordo. Galivoi… Galilei Galivoi: non si doteva dire “lei” … una fioritura continua… non scritte ma parlate sì… Poi venivano probabilmente, come le barzellette di preti vengono dal Vaticano, dall’entourage mussoliniano…

A.P. e D.G: grazie professore!

 


Il video dell’intervista di apertura è tratto dall’archivio storico Luce: si tratta di un servizio del cinegiornale “Notizie cinematografiche” n. 410, edito nel 1975. De Mauro commenta i risultati del censimento sulla piaga dell’analfabetismo in Italia, un tema – quello dell’analfabetismo, strumentale e funzionale – al quale il professore ha dedicato tanta parte del proprio impegno civile.

Le immagini pubblicate in questo articolo sono tratte (assieme alle didascalie) dall’Album glottofotografico curato da Tullio e Silvana De Mauro e donato a noi dal Professore nel corso dell’intervista.
Qui lo speciale del canale Letteratura della Rai dedicato alla scomparsa di Tullio de Mauro