E’ morto Steve Jobs.
Il suo discorso alla Stanford University di qualche anno aveva reso celebre una sua citazione (da “The whole earth catalog” di Steve Brand) “Stay hungry, stay foolish” (siate affamati, siate folli), invito a sovvertire gli schemi e a lavorare appassionatamente.
Nello stesso discorso però Steve Jobs aveva ricordato anche come, pur avendo lasciato il Reed College, avesse continuato a frequentare un corso di calligrafia, affascinato dalla capacità di produrre testo in bello stile (“It was beautiful, historical, artistically subtle in a way that science can’t capture, and I found it fascinating.”). Quella esperienza gli consentì anni dopo di immaginare che i suoi primi Mac dovessero avere una qualità tipografica mai raggiunta prima.
Jobs testimonia come qualcosa di assolutamente distante dal mondo della tecnologia, per lo più legato al passato, la calligrafia, possa aiutare a realizzare (meglio) ciò che ci accingiamo a fare, che è dalla conoscenza del nostro passato che riusciamo a trarre insegnamento per costruire (meglio) il nostro futuro. La calligrafia e il testo digitale altro non sono che due modi di rappresentare la comunicazione umana, che, come tale, necessita di qualità. Il passato insegna ma solo se sei “foolish” riesci a capire, ad astrarre l’insegnamento, rifuggendo dalle convenzioni che ti imprigionano.
In realtà in quell’aneddoto è nascosto anche un altro segreto di Steve Jobs e della Apple, la capacità di capire, prima di altri, che il computer non è solo uno strumento che aiuta a realizzare parte del proprio lavoro ma è anche uno strumento che deve andare incontro alla natura umana nel suo complesso, a tutto quello che nei secoli ha portato alla nascita della calligrafia, ma anche dell’arte e di tutto ciò che e cultura. La tecnologia ne deve essere solo la moderna interpretazione.
Uno dei più grandi (veri) visionari del nostro tempo lascia al tempo stesso un enorme vuoto e un ancor più grande eredità. Protagonista della rivoluzione digitale degli ultimi 30 anni ha caratterizzato la sua azione per questo suo personale approccio alla tecnologia, non solo microchip e software ma anche design, comunicazione e interpretazione del futuro.
E’ stato infatti un inventore di mercati futuri e per questa ragione qualche suo detrattore si ostina a rappresentare il suo percorso professionale più come l’iperbole di un gran venditore che di un guru dell’innovazione.
Se Bill Gates ha creato un’impresa inseguendo e soddisfacendo la domanda di ordinarietà, Apple ha superato la sua rivale ricercando quello che prima non c’era o che non era stato compreso, sovvertendo i confini canonici della tecnologia e invadendo campi che si riteneva fossero solo contigui.
Proprio questa è stata la forza rivoluzionaria di Steve Jobs, capire che la tecnologia, per essere utilizzata dalle persone, deve essere capita dalle persone stesse e deve essere funzionale al loro “essere persone”, quindi deve essere anche bello, facile da usare, familiare. L’iPod ha rivoluzionato l’approccio dei lettori MP3, l’iPhone quello della fruizione mobile dei servizi, l’iPad ha finalmente lanciato l’editoria digitale (tranne che in Italia), iTunes quello della musica digitale, senza dimenticare che Mac e Windows si contendono la primogenitura del metodo di navigazione a “finestre”.
Molti sono stati gli interpreti di questa rivoluzione ed è complesso decidere chi ha inciso di più sul cambiamento ma Steve Jobs è stato sicuramente quello che più di altri ne ha determinato un’evoluzione “human oriented”.
Il discorso di Steve Jobs ai neolaureati di Stanford (2005)
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