First Name: Carmine Last Name: Piantedosi Ethnicity: Italy, Italian South Last Place of Residence: Pietrastornina Date of Arrival: 15/03/1906 Age at Arrival: 19y Gender: M Marital Status: S Ship of Travel: Italia Port of Departure: Naples Manifest Line Number: 0011…
Carmine Piantedosi, giovane irpino di Pietrastornina imbarcato sul piroscafo Italia alla ricerca di una vita migliore, è uno dei tanti passeggeri di terza classe (steerage passengers, i passeggeri della stiva) condannati a stipare di miseria la pancia di una nave in rotta verso l’America nella primavera del 1906.
Il 15 marzo il transatlantico avrebbe svuotato quel carico di fame, sporcizia, ignoranza e paura, mista a tanta speranza, nel Nuovo Mondo partecipando al flusso della più grande ondata migratoria della storia dell’umanità: dal 1892 al 1924 12 milioni di alien – gli stranieri per l’America – sbarcarono a Ellis Island, la stazione federale per il controllo dell’immigrazione attiva dal 1892 nella baia di New York.
A spingere Carmine, e come lui altri 700.000 campani, a varcare l’Oceano, fu, accanto alle condizioni di precarietà e di privazione in cui versavano i contadini meridionali, il desiderio di migliorare le proprie condizioni di partenza, alimentato dai racconti fantastici dei compaesani che avevano tentato l’avventura: in America “le strade erano pavimentate d’oro” si diceva.
“Lo studio delle testimonianze scritte dei migranti” – spiega Antonio Gibelli, storico dell’immigrazione – attesta che generalmente “a dirigere, a regolare, a rallentare o accelerare i flussi non furono già le attese mitiche ma piuttosto, da un lato, l’elaborazione di una cultura della mobilità per nulla improvvisata, che al contrario affondava radici lontane nel tempo, dall’altro un’attenta, continuamente aggiornata informazione sulle condizioni di vita, il mercato del lavoro, le opportunità effettive di impiego e di risparmio nel contesti di destinazione, in altri termini un calcolo e per così dire un monitoraggio ininterrotto del rapporto tra le possibilità e i rischi connessi all’espatrio”.
In viaggio
Possiamo dunque provare ad immaginare che il giovane emigrante, registrato nella carta di imbarco con il cognome dell’attuale Ministro degli Interni, e proveniente dallo stesso paese del Prefetto Piantedosi, Pietrastornina, abbia partecipato, con la sua comunità, alla lettura delle lettere spedite dagli emigranti ai propri familiari o abbia assistito al miglioramento del tenore di vita di amici e congiunti, grazie all’invio delle rimesse in patria. Attratto da nuove prospettive abbia quindi poi scelto di sfidare la sorte e attraversare l’Oceano accettando i rischi e le paure per un viaggio lungo e umiliante, affidato a un dormitorio affollato, maleodorante e malsano e si sia sottoposto, all’arrivo, al duro processo di ispezione cui venivano obbligati tutti i passeggeri della terza classe.
Un viaggio, si aggiunga, non privo di pericoli: solo tre mesi dopo la partenza di “Carmine”, lo stesso transatlantico ”Italia” prenderà a bordo una parte dei superstiti del naufragio a Capo Palos, in Spagna, del Sirio, piroscafo della Navigazione Generale Italiana carico di emigranti diretto in America del Sud.
Secondo le cronache del tempo, quasi 300 passeggeri, soprattutto donne e bambini, perderanno la vita nel naufragio. I quotidiani, dal Corriere della Sera a l’Avanti, raccontarono di comportamenti eroici e condotte vigliacche (l’equipaggio si allontanò subito dalla nave, scrive il Corriere) di soccorsi immediati e generosi e disumani silenzi (alcuni piroscafi avrebbero ignorato gli appelli) di responsabilità politiche e mancati controlli (per l’Avanti la nave Sirio, vecchia di 24 anni, era una “carcassa”, un “vascello-fantasma” inadatto a varcare l’Oceano)… E come non pensare al canto sociale più noto, alla ballata che ha espresso la resistenza al progetto migratorio da parte delle famiglie? Mamma mia dammi cento lire racconta proprio di una ragazza annegata nel naufragio di un “carico” di emigranti (la ascoltiamo qui nella versione raccolta dall’etnomusicologo Antonino Uccello).
Ma torniamo al viaggio “fortunato” del giovane Piantedosi.
Grazie al database realizzato dalla Fondazione Ellis Island è possibile esplorare 65 milioni di schede – liste di viaggiatori e documenti – in cui sono registrate molte informazioni sui passeggeri delle navi, rivelatrici, tra l’altro, delle politiche di immigrazione sostenute dagli Stati Uniti a cavallo del secolo: si annotano dati anagrafici (nome, provenienza, età, stato civile, istruzione, “razza”…) si tracciano obiettivi e modalità del viaggio (destinazione, chi ha pagato il biglietto? ha il biglietto per la destinazione? ha 50 dollari o quanti soldi ha? raggiunge un parente, dove? è poligamo?, anarchico? è stato mai in prigione?)…
Nel nostro caso sappiamo che fu il padre a pagare il biglietto di Carmine, probabilmente spinto dal desiderio di cercare condizioni di vita più dignitose per l’intera famiglia: una scelta condivisa da milioni di emigranti nella storia del nostro Paese.
Al ministro Piantedosi, che con parole inascoltabili, pronunciate dopo il naufragio di migranti a Steccato di Cutro domenica 26 febbraio, ha censurato la scelta dell’emigrazione – “Se fossi disperato? Non partirei, perché sono stato educato alla responsabilità: a non chiedermi cosa devo aspettarmi dal Paese in cui vivo, ma a cosa posso dare io” rispondono le storie di 4.114.000 italiani che scelsero – dal 1892 al 1924 – di lasciare il proprio Paese, responsabilmente, per cercare una vita migliore. E piace ricordare che tra questi vi furono – seppur partendo da una esplorazione superficiale del database di Ellis Island – ben 47 passeggeri con il nome Piantedosi e 82 Piantadosi, molti provenienti dal paese del Ministro o da paesi vicini (Roccabascerana).
Ora torniamo all’esperienza dell’emigrazione, alle dure prove cui si sottoponevano gli emigranti per costruirsi una vita diversa nel Nuovo Mondo.
Mettiamoci nei panni di Carmine, o di Sabato, o di Giovanni Piantadosi (variante di Piantedosi) contadino trentaseienne proveniente da Roccabascerana, partito come Carmine nel 1906, e pronto a ricongiungersi con il nipote Liborio, abitante in Mulberry Street, numero 64. Seguiamo Giovanni per esplorare anche la banca dati dei CISEI (Centro Internazionale Studi Emigrazione italiana) che aggiunge alle schede dei passeggeri alcune statistiche – nell’anno 1906 sono espatriati 787.977 cittadini italiani, 509.348 diretti nel continente americano e 358.569 verso gli Stati Uniti; nello stesso anno sono rimpatriati 145.766 italiani 145.766 provenienti dal continente americano e 97.278 dagli Stati Uniti. Giovanni è un caso di mobilità perché ritorna negli USA dove aveva vissuto dal 1902 al 1905.
L’arrivo a Ellis Island
Torniamo a bordo della nave Italia. La destinazione si avvicina, il piroscafo lascia scendere passeggeri di prima e seconda classe. Gli altri, i “passeggeri di stiva” – emigranti poveri, in prevalenza di origine contadina, molti privi di istruzione, come Carmine, che non sa né leggere e né scrivere – si guardano intorno disorientati: al posto delle montagne il profilo di Manhattan, la Statua della libertà e per lo sbarco, a bordo di vaporetti, la stazione per l’immigrazione, Ellis Island, una serie di edifici in mattoni rossi (90.000 metri quadrati) costruiti su un’isola senza abitazioni.
Gli emigranti devono lasciare i bagagli (valigie, sacche, ceste, borse traboccanti di vestiti, trapunte, fotografie) nell’edificio centrale – il “Main Building” – e mettersi in fila disponendosi lungo i binari di ferro che incanalano il flusso. Una fotografia immortalerà per sempre questo passaggio così temuto dalle famiglie di emigranti: “Italian family looking for lost baggage [1908]”, lo scatto del fotografo sociale Lewis Hine, che ritrae la ricerca del bagaglio perduto. Protagonista dell’immagine è Anna Sciacchitano, emigrante di Santa Margherita di Belice, ritratta con i 3 figli al termine dell’ispezione: l’identificazione della donna emigrata è avvenuta successivamente dai ricercatori.
Il processo di ispezione
Mentre procedono lungo gli “iron railings” in una confusione di lingue e di genti diverse i Carmine dell’epoca scorrono sotto lo sguardo attento dei medici del Servizio di Salute Pubblica. Volto, postura, colore, tessuto della pelle, “anormalità” espressiva… tutto è sotto osservazione. Se l’ispettore ha dubbi può fare domande all’immigrato, spesso aiutato da un interprete. Il nostro Carmine potrebbe aver incontrato il futuro sindaco di New York Fiorello La Guardia, un immigrato di origini italiane, studente della New York University, impegnato nella Society for the Prevention of Cruelty for Children; forte della conoscenza di ben sette lingue (inglese, italiano, francese, tedesco, ungherese, ebraico, yiddish) lavorava dal 1906 come interprete per il Servizio immigrazione a Ellis Island.
L’avventura potrebbe concludersi qui per una lettera. Grave la “X” ovvero difetto mentale o sospetto di disagio. Sono emigranti destinati alla “mental room” per essere sottoposti a test psicologici e attitudinali umilianti, espressione della cultura medico scientifica del tempo, spesso razzista e classista. Andiamo avanti con le lettere: “B” problemi alla schiena, “C” congiuntivite, “E” problemi alla vista, “F” psoriasi, “FT” problemi ai piedi, “G” gozzo, “H” malattia cardiaca, “K” ernia, “L” claudicazione, “N” problemi al collo, “P” problemi polmonari, per le donne c’è “Pg” gravidanza, “Sc” problemi al cuoio capelluto, “S” senilità: con il gesso sui vestiti dell’esaminato o dell’ esaminata si segnala la necessità di un accertamento al termine del quale si può essere trattenuti nell’ospedale dell’isola o imbarcati di nuovo per il rientro. “The eye man” è il secondo medico che ispeziona gli occhi alla ricerca del tracoma, una grave malattia diffusa in aree con scarsa igiene e mancanza di acqua potabile. Le immagini di Ellis Island sono spesso associate agli scatti di queste ispezioni: l’ufficiale medico solleva la palpebra dell’esaminato, o con le dita o con speciali pinze (buttonhook).
Superati tutti questi controlli si sale al primo piano, nella “registry room” per l’intervista finale e la verifica delle informazioni riportate nella lista dei Passeggeri. E’ l’ultimo ostacolo per Carmine, messo certamente a dura prova dalla macchina dell’immigrazione americana. Come scrive ancora Gibelli citando gli studi di Delia Frigessi e dello psichiatra Michele Risso, Ellis Island è incontro e scontro tra la cultura tradizionale di cui sono portatori i migranti e l’organizzazione razionale del nuovo mondo: “Nell’incontro scontro con un’altra società, con un altro mondo di valori, di comportamenti e di norme, dove le relazioni interpersonali e i codici non scritti, il significato dei simboli e la lingua, i ritmi di lavoro, la dimensione del tempo e il modo di viverlo, la percezione dello spazio antropologico e sociale sono diversi, la cultura originale dell’emigrato subisce un assalto, una ferita profonda” .
Oltre Ellis Island
Oltre Ellis Island, c’è il Nuovo Mondo, sempre più globalizzato, e popolato di sensali di braccia, di mediatori, pronti a sfruttare la nuova manodopera. Gli italiani del primo Novecento trovano un mercato del lavoro composito, formato da immigrati della prima ondata, quelli degli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento provenienti dai Paesi dall’Europa del nord, o nati negli Stati Uniti da immigrati delle stesse aree, che parlano inglese o tedesco; dai nuovi immigrati della fine del secolo provenienti dall’Europa meridionale e orientale, italiani e slavi (quegli italiani immortalati nei bassifondi di Lower East Side e Mulberry Street dal danese Jacob Riis, riformatore e pioniere della fotografia sociale).
Come molti Piantedosi in arrivo nel continente americano in questo decennio, gli immigrati italiani sono in maggioranza giovani maschi di origine contadina, provenienti dal Mezzogiorno. Il 50% di loro va e viene – è forte il numero di rimpatri – l’altro 50% resta. La maggioranza non è qualificata dal punto di vista lavorativo e verrà impiegata come manodopera non specializzata: saranno manovali pronti a spaccarsi la schiena nei grandi lavori di costruzione, al posto degli irlandesi. In questo articolo non andremo oltre in questa piccola storia dell’emigrazione italiana, ora alle prese con una lotta per la sopravvivenza e per il riscatto della propria condizione di partenza (ad approfondire, come è noto, v’è una vastissima letteratura, una mole di studi analitici e interdisciplinari). Vogliamo solo porre l’attenzione su alcuni snodi. Molti di loro ce la faranno, contribuendo ad alimentare le storie di successo poi raccontate – attraverso lettere o oralmente – ai compaesani, nelle comunità di origine. Molti contribuiranno a costruire la storia dell’America (qui segnaliamo una piccola incursione nella storia degli italo-americani raccontata dai cinegiornali Luce). Molti, lasciando per sempre il paese di origine, si allontaneranno in parte dalla propria identità regionale (per molto contadini non era certo nazionale!) per imparare ad essere italiani, loro malgrado, perché discriminati (o perseguitati, ricordiamo il linciaggio di New Orleans) dai bianchi anglosassoni e costretti a riconoscersi e solidarizzare in una posizione comune all’interno di una scala etno-razziale composta da polacchi, slavi, neri, gialli…
L’emigrazione è una grande benedizione
“Ah! Signore, l’emigrazione è una grande benedizione per il nostro paese. Che cosa farebbe tutta questa gente qui, tranne che vivere più miseramente, se ciò fosse possibile, mentre i latifondisti si ingrassano con il loro sangue? […] Una volta non c’erano soldi in questa città. Adesso tutti ne abbiamo un pò e noi poveri contadini non dobbiamo andare dal padrone a chiedergli un prestito e pagargli il cinquanta per cento di interesse”[…]
Così rispondeva nel 1907 Pietro, un muscoloso lavoratore del Molise, ad Antonio Mangano, pastore protestante, originario della Calabria, impegnato in uno studio sull’emigrazione italiana.
Per tanti contadini condannati all’immobilismo in patria si aprì una nuova partita, tutta da giocare.
Per sé stessi e per la costruzione dell’identità italiana.
La fotografia in evidenza è uno scatto di Lewis Hine “A group of Italians in the railroad waiting room, Ellis Island“, 1905, NYPL
Principali fonti multimediali utilizzate
Archivi/Banche dati
Digital Collections della New York Public Library
Jacob A. Riis Collection, Museum of the City of New York
Library of Congress
The Statue of Liberty—Ellis Island Foundation, Inc
CISEI – Centro Internazionale Studi Emigrazione Italiana
Bibliomediateca dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea
Archivio storico del Quirinale-Collezione Gianni Bisiach
ICCD- Catalogo generale dei beni culturali
Archivio storico Istituto Luce Cinecittà
Siti web: Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana, ricco di articoli interessantissimi (Delia Frigessi, Religione e società…)
Fonti scritte da cui sono tratte gran parte delle citazioni
Per le cifre sull’emigrazione della Campania: Storia d’Italia Le Regioni dall’Unità a oggi. La Campania. Einaudi Editore, 1990. In particolare il saggio di Andreina De Clementi, La prima emigrazione, pp. 373-396.
LAMERICA! 1892-1914 Da Genova a Ellis Island il viaggio per mare negli anni dell’emigrazione italiana, Sagep Editori, 2008. In particolare utilissimi i saggi di Antonio Gibelli, Storie migranti; di Giovanna Rocchi The inspection process: la selezione degli emigranti a Ellis Island; di Ferdinando Fasce Oltre Ellis Island Migranti italiani, lavoro e società Usa nel primo Novecento
The Italian Americans… per terre assai lontane, Alinari, 1987, con ricchissima bibliografia. Qui si legge la testimonianza di Antonio Mangano
Images of America Ellis Island, Arcadia Publishing, 2008
Jacob A. Riis How the other half lives, Dover Publications, 1971
Sulla tragedia del piroscafo Sirio tra gli altri il Corriere della Sera e L’Avanti, dal 4 al 10 agosto 1906.