Ero a Longarone quando è venuto Segni

Tutti i numeri di Rinascita, dal 1944 al 1991, online, digitalizzati e ricercabili, nel sito www.archivipci.it
di 10 Ottobre 2023 0


Caro Direttore,
che i cosiddetti organi di informazione fossero capaci d’ogni falso e contorcimento, pur di compiacere ai desideri delle forze economiche dalle quali dipendono, lo si sapeva, anche quassù, da un pezzo. Quello che risultava difficile forse da prevedere era che i grossi quotidiani italiani fossero disposti a spingersi fino ai limiti che abbiamo dovuto in questi giorni costatare, dando prova di una tale mancanza di senso morale che il disprezzo suscitato non trova parole […]

Mi riferisco, caro direttore, in particolare ai resoconti della visita che il Presidente della Repubblica ha effettuato a Longarone, quali sono apparsi sulla quasi totalità della stampa italiana e quali venivano dati dalla radio-televisione. La visita del Presidente Segni si sarebbe dunque svolta in una atmosfera di rassegnata e paziente sopportazione. Tra lacrime di commozione, ringraziamenti per le apportate e attese consolazioni, abbracci fraterni, strette di mano, carezze paterne sulle guance di bimbi ignari e sorridenti, pacche sulle spalle di vecchi montanari, gesti di benedizione di altrettanto vecchie montanare. E dialoghi tra il Presidente e la popolazione, colloqui con tutti, un mescolarsi tra la folla, un ascoltare, un prendere nota, tutto un assicurare, un incoraggiare, un promettere. Insomma pianti asciugati con amore e struggimenti raccolti con impagabile dolcezza.
Menzogna impudica, vergognosa menzogna! Certo: quassù la gente è buona e paziente e adusata al dolore, ma non sino al punto che gradirebbero quanti di tale bontà e pazienza e sopportazione hanno sino a oggi abusato, speculandovi sopra. Io c’ero a Longarone, il giorno della visita del Presidente Stavo dalla parte della gente, oltre gli sbarramenti della polizia, tra i parenti delle vittime, i superstiti. Quanto segue è per dire nel modo più vero ciò che ho visto, sentito, provato.

L’elicottero con l’on. Segni, alle 14,10 circa, calava al centro di un grande quadrato che uomini della Celere avevano composto sullo spiazzo calcinato, un tempo occupato dalla chiesa del paese, dalla piazza, da case. La folla – parecchi gli emigranti tornati – aspettava dal mattino al di qua degli uomini in divisa. C’è un silenzio assoluto. Scendono il Presidente, la consorte, i ministri, altri in abiti scuri, camicie bianche. Accorrono pezzi grossi degli alpini, dei carabinieri, del genio, dei carristi, delle guardie di finanza, di Dio sa quale altra arma, amministrazione, curia. Dalla gente, all’improvviso, nell’atmosfera protocollare stabilitasi, si leva un vociare indistinto che sorpassa gli agenti. Poi, nel teso silenzio di nuovo calato, un urlo di donna, alto, strozzato: «E’ stato un assassinio!». Segni è pallidissimo. Andreotti, curvo nell’abito nero, pare volersi celare tra le autorità che guardano in giro stupite, indecise, verosimilmente in certe su quale ordine impartire per riportare le cose al loro previsto corso normale.

Entro il quadrato disegnato dalla polizia le autorità parlano, ma sembra non abbiano voce. Non li sentiamo. Invece, chissà dove, sulla infinita distesa di macerie, sotto il sole, c’è un piccone che scava, che scava, che scava. Ancora un grido di donna: “Punite i delinquenti! “. Dopo, la voce d’un uomo: “La gente sta qua. Parli con la gente”.
Il brivido che mi coglie alla schiena, sono certo, percorre le schiene di tutti. Mi tremano le mani e le mani di tutti tremano, lo sento; così come intuisco il serrarsi delle mascelle di tutti, mentre gli occhi bruciano, ma non hanno una lacrima. Incontro lo sguardo dell’amico che mi sta accanto e nei suoi occhi avverto il presentimento che a me serra lo stomaco, quello della imminente azione liberatrice, alla quale non ci opporremo, pur presagendola enorme.
Ora pare che Segni s’appresti a uscire dal quadrato. Attraversa la strada che è stata aperta tra le macerie e sale sul primo mucchio di detriti che incontra. Intorno la tensione arriva al suo culmine, sta per spezzarsi. Un vecchio alza il bastone maledicendo, donne fendono la calca a furia di braccia e singulti. Anche i pezzi gros si e la polizia di certo capiscono il momento e risucchiano Segni, lo scortano al centro dello spiazzo sicuro, al di là delle braccia dei celerini disorientati.
“I superstiti di Longarone stanno qua. Per parlare con quelli, poteva restare a Roma”. Ma nessuno, adesso, ha più voglia di dire, di fare. Un giovane insiste contro lo sbarramento della Celere. Viene trattenuto, respinto. Si ributta, di nuovo, una, due, dieci volte, ma non ha impeto, né convinzione. Finché due braccia affettuose lo persuadono a smettere, e una spalla amica gli si offre, ove chinare la testa e piangere sommessamente: «Bepi! Bepi! Diese i me ne ga copà» [ Beppe! Beppe! me ne hanno uccisi 10, n.d.r.].

Rinascita, 19 ottobre 1963

Sono le 14,25. L’elicottero riaccende i motori. Dopo soli 15 minuti il Presidente della Repubblica lascia Longarone. S’allontana, nell’azzurro denso del cielo.
Questi, caro direttore, i colloqui, le strette di mano, le lacrime, gli abbracci, le carezze, delle quali empia-mente hanno farneticato i corrispondenti della cosiddetta stampa di informazione” […]

Così Giorgio Angoletta, di Pieve di Cadore, scriveva a Togliatti, direttore di Rinascita, facendo un “contro-resoconto” della visita ufficiale di Segni a Longarone avvenuta il 15 ottobre, a bordo di un elicottero.

Su Archivi Pci, il portale delle fonti per la storia del Partito comunista italiano realizzato dalla Fondazione Gramsci, è ora possibile sfogliare, leggere e ricercare tutti i numeri di Rinascita dal 1944 al 1991.  Una risorsa preziosissima da integrare con tante altre fonti disponibili online.

La cronaca istituzionale della visita del “Presidente della Repubblica e della Signora Segni alle località sinistrate del bellunese (Diga del Vajont)” è nel Diario pubblicato dall’Archivio storico del Quirinale, arricchito dall’elenco dei comunicati stampa ANSA, Agenzia Italia, che raccontano una visita ben diversa da quella riportata dal signor Angoletta.

Su Rinascita del 19 ottobre 1963 gli articoli sul Vajont si susseguono. Mauro Scoccimarro ha l’apertura del settimanale: con L’accusa del Vajont, si invita alla lettura del  “Libro Bianco presentato al Presidente della Repubblica dalla delegazione dei parlamentari del PCI” poiché “è impressionante costatare il numero di dicasteri e organismi statali che, nel corso di cinque anni, sono stati sollecitati dalle popolazioni del luogo e dai loro rappresentanti a intervenire: ministeri, uffici del Genio Civile. prefetture. Nessuno si è mosso. In maniera palmare, lo Stato si è posto al servizio delle scelte di una potente consorteria industriale e finanziaria”…

Il percorso sulle fonti della storia d’Italia, non solo del PCI, può proseguire nel sito dell’Archivio storico del Senato dove troviamo il “Libro bianco sulla tragedia del Vajont” citato dal politico comunista.

Rinascita parla poi del dibattito in parlamento del 15 ottobre che si concluse “con la richiesta di una commissione di indagine parlamentare avanzata, oltreché dal PCI, anche dai socialdemocratici e dai liberali. Da parte comunista è stata richiesta anche la sospensione dell’indennizzo spettante alla SADE per l’avvenuto passaggio dei suoi impianti al’ENEL e la destituzione del Prefetto di Belluno, dimostratosi più preoccupato del proto collo, in occasione delle visite ufficiali sui luoghi della sciagura, che non di far arrivare alle popolazioni i viveri e i mezzi necessari”.
E grazie al sito del patrimonio storico della Camera dei deputati si può seguire l’intero dibattito nel resoconto stenografico della “Seduta di martedì 15 ottobre 1963 pom”.