Cento anni fa (il 12 dicembre 1915) nasceva Frank Sinatra e la Library of Congress lo ricorda con l’interessante cortometraggio che abbiamo scelto come video del giorno, The House I Live In (prodotto dalla RKO nel 1945). Sponsorizzato da B’nai B’rith – un’organizzazione ebraica nata a metà dell’Ottocento per combattere l’antisemitismo che ebbe tra i suoi membri Sigmund Freud – il film è un richiamo alla tolleranza religiosa e un’esaltazione dell’America come melting pot. Frank Sinatra sta registrando “If You Are But a Dream”, esce per una pausa e assiste ad un’aggressione di un gruppo di bulletti contro un bambino. Il cantante li ferma e chiede spiegazioni. Ai ragazzi, che motivano il loro atteggiamento con la religione ebraica dell’aggredito, Sinatra chiede se sono “nazi” e intona “The House I Live In“, una canzone che esalta l’America patria delle libertà e terra di immigrazione: “My Dad came from Italy… All races and religions that’s America to me … The right to speak my mind out, that’s America to me…” Una canzone scritta da Abel Meeropol (l’autore di “Strange Fruit”, la canzone sui linciaggi dei neri )e composta da Earl Hawley Robinson che finì, assieme allo sceneggiatore del film Albert Waltz, nella blacklist per attività antiamericane durante l’era McCarthy.
Un’annotazione al film: correttamente l’autrice dell’articolo Donna Ross – Boards Assistant al National Film Preservation Board – sottolinea che il messaggio di tolleranza non si applica ai nemici dell’America in tempo di guerra (anche se il film usciì nel novembre 1945, a guerra finita, ndr), i giapponesi sono i “jap” (offensivo e gergale).
La grandezza del cantante nato da genitori italiani a Hoboken – Ol’ Blue Eyes in America, ricorda Gianni Riotta – non si discute, anche se negli anni Cinquanta la sua tournée in Italia – documentata anche dalla Settimana Incom, che nel ’53 registra negli studi, ancora radiofonici, di Via Asiago l’esibizione canora di Sinatra – viene ridicolizzata su La Stampa dal critico cinematografico Fernaldo Di Giammatteo che, il 10 maggio, ironizza sull’assenza in pubblico della moglie Ava Gardner (“A Frank Sinatra non garba la celebrità di sua moglie” è il titolo del “pezzo”, con sottotitolo: “un frenetico concerto con l’esibizione di un ‘gran capo’ e di una ballerina negra”) e sulle doti di “Frank”: […] “lo si sente cantare – così sornione e manierato da strappare, in America, lacrime a comando – e si capisce il trucco. Canta e soffre, canta e geme. La canzone di solito non ha alcuna importanza, quel che importa è il suo modo di frantumarla e di farla vibrare, saltellare, modulare. Sino alla noia, magari”.
La lista delle canzoni indimenticabili di “Frank” è interminabile. Si avvicinano le feste natalizie e concludiamo questo breve omaggio con White Christmas. A cantare Frank Sinatra e Bing Crosby (1957)