“Guardami”: in mostra a Bergamo gli scatti di Pepi Merisio

di 15 Maggio 2019 0
In morte dello zio Angelo, 1963

Oltre 250 fotografie in mostra nel nuovo spazio espositivo dedicato alla fotografia dal Museo della Fotografia Sestini:  fino al 1 settembre si potranno vedere i ritratti di Pepi Merisio, uno dei protagonisti del fotogiornalismo italiano, in una esposizione promossa dal Museo delle storie di Bergamo e dal Comune di Bergamo. Ritratti, perché “il “Guardami” valeva per tutti i soggetti, persino per i paesaggi, perché in tutte le situazioni c’è proprio il momento magico che quasi esige lo scatto” spiega l’autore, che ha partecipato all’allestimento.

Nato nel 1931 a Caravaggio, nella bassa bergamasca, comincia a fotografare da autodidatta. Nel 1956 avvia la sua collaborazione con il “Touring Club Italiano” e in seguito con numerose riviste, tra cui “Camera”, “Du”, “Réalité”, “Photo Maxima”, “Pirelli”, “Look”, “Famiglia Cristiana”, “Stern”, “Paris –Match”. Uno dei racconti di Merisi lo impone all’attenzione di Epoca: è il servizio fotografico “In morte dello zio Angelo”, ambientato in Valgandino. Ritrae un “montanaro d’altri tempi”, conosciuto in tutto il paese, che, in processione, volle accompagnarlo al cimitero. Così comincia la collaborazione con il settimanale illustrato, per il quale pubblicherà, nel ’64, uno storico servizio: ‘Una giornata col Papa”. Merisio diventerà il biografo per immagini di Paolo VI.

“In fotografia, decisivo non è l’attimo, ma lo sguardo di chi sa cogliere l’istante irripetibile di un momento, il dettaglio di ciò che appare. È sempre il fotografo che decide quando è il momento decisivo” (Pepi Merisio)

Conosciuto come il cantore della civiltà contadina Merisi – seguendo la tradizione della fotografia sociale della Farm Security Administration – ritrae con sguardo documentaristico ed etnografico il lavoro, il paesaggio, la famiglia, la sfera religiosa, il passaggio dalla civilità contadina alla società dei consumi. “Le foto di Merisio”, scrive Alessandro Beltrami su l’Avvenire, “si collocano sul crinale tagliente di una irreversibile svolta antropologica che investe l’intero paese, affrontata con lucidità, senza nostalgia”.

Ho iniziato fotografando proprio il luogo dove ero nato: Caravaggio, nella bassa bergamasca, un mondo di contadini e gente semplice, i norcini che andavano in tutte le case, anche nella mia, ad ammazzare il maiale. Allora il lavoro lo si vedeva con gli occhi, soprattutto nell’ambiente popolare. Ho poi fotografato il mondo dell’industria, soprattutto a Milano. Proprio qui ho scattato molte foto della Darsena, che adesso è tornata di moda con Expo; allora c’erano enormi barconi di sabbia, le gru ed era il terzo porto d’Italia per tonnellaggio, con decine di scaricatori. Funzionava ancora secondo il progetto di Leonardo da Vinci. Milano allora era molto democratica, era molto “paese”, potremmo dire, rispetto ad oggi“, racconta il fotografo in una bella intervista.

La mostra di Merisi è la prosecuzione e il completamento del percorso espositivo del Museo” spiega Roberta Frigeni, direttore scientifico del Museo delle storie di Bergamo e coordinatrice, assieme a Jennifer Coffani,  del progetto di catalogazione dei fondi fotografici dell’Archivio fotografico Sestini.
Un progetto avviato nel 2017 su xDams, accompagnato dalla  pubblicazione, nel novembre scorso, di un portale di consultazione (qui il video de l’Eco di Bergamo sul progetto). Al lavoro un gruppo di professionisti impegnati in pochi anni a catalogare 86.000 immagini. Al contempo, scriveva Tiffany Pesenti in un articolo per il nostro magazine, verranno digitalizzate 195.000 fotografie .
252.000 diapositive, 165.000 negativi su pellicola e 154.000 stampe: questi i numeri del fondo del fotografo bergamasco Pepi Merisio depositati nel Museo, che raccontano il territorio di Bergamo, la provincia e il paesaggio italiano lungo il ‘900.

Gli scatti in mostra sono raccolti in 5 diverse sezioni tematiche: La famiglia, Ex Oriente, Il lavoro, La vita, Stella Mattutina.

Qualche dettaglio: “Ex Oriente” raccoglie il lavoro di Merisio nel corso dei suoi viaggi in Oriente, al seguito di Papa Paolo VI dove, oltre ai ricevimenti ufficiali, amava fotografare la vita quotidiana, persone comuni e tradizioni dei luoghi;  “il lavoro” i reportage sui campi e i boschi, sugli operai e  i contadini, sull’impegno  quotidiano nelle cave di Schilpario, cave di Carrara e porto di Genova, da Bergamo fino al resto d’Italia,  le aziende bergamasche, come la Filanda Fumagalli a Sotto il Monte, che hanno significato lavoro per le comunità bergamasche; “Stella Matutina” racconta i  momenti di quotidianità all’interno del convento di Monte Oliveto Maggiore di Bergamo e comprende gli scatti dei servizi “In viaggio col Papa”.

Grazie al portale dell’archivio è anche possibile navigare gli scatti di Merisio (oltre ai fondi Domenico Lucchetti, Gianfermo Musitelli, Agenzia Viaggi Lorandi): sono online, ad oggi,  287 immagini e il racconto per immagini della “morte dello zio Angelo” che fece vincere a Merisio la prima edizione del Premio Fermo dedicato al Reportage Fotografico e che l’Archivio ha messo in evidenza nella rubrica Storie.

 Lasciamo al narratore la parola e le sue immagini per descrivere gli ultimi momenti dello zio Angelo: “Vennero in tanti a vederlo. Forse tutti, perché tutti lo conoscevano in questo piccolo paese. Lo accompagnarono al cimitero nella neve in lunga processione; c’erano anche i bambini dell’asilo ed i tre vecchi confratelli, col cappello in testa per il gran freddo. La moglie dello zio stette poi lunghe ore sola nella stanza vuota, sola con i ritratti dei suoi vecchi e con la fotografia dove lei è insieme allo zio nel giorno delle nozze. È una fotografia ingiallita, con il vetro rotto. Sotto c’è un ramo d’olivo.


Le informazioni sono tratte da:
Pepi Merisio e la fotografia come un ponte di sguardi, di Alessandro Beltrami, Avvenire del 5 maggio 2019
Pepi Merisio, il bianco e nero dove la grazia è realtà, di Alessandro Beltrami, Avvenire del 29 novembre 2016
Guardami”: lo sguardo empatico di Pepi Merisio sulla Bergamo del dopoguerra di Marco Zonca, Bergamo news del 7 maggio 2019