Il 7 marzo si è tenuto al Politecnico di Milano l’incontro su “Internet of Things: Smart Present or Smart Future?”, in occasione della presentazione del rapporto finale dell’ Osservatorio: Internet of Things.
L’Internet delle cose è un argomento di grande fascino ed è individuabile come uno dei possibili ambiti di evoluzione della Rete. Nel 1999 da Kevin Ashton ha ipotizzato che in un futuro prossimo la connettività diffusa consentirà di realizzare oggetti, anche di uso quotidiano, con capacità di interconnettersi e interagire, essendo caratterizzati, in estrema sintesi, da:
• Identificazione
• Localizzazione
• Acquisizione di informazioni
• Elaborazione
In pratica ogni oggetto avrà la capacità di essere riconoscibile e interconnesso alla rete (come con l’attuale indirizzo IP) e di assolvere funzioni, anche eterogenee, quali acquisire informazioni dall’ambiente che lo circonda, trasmettere tali dati ed eventualmente interagire con gli altri oggetti in funzione dei dati che gli stessi si scambiano. Anche il famoso scrittore Bruce Sterling ha argomentato su questo scenario, coniando il termine SPIME per sensori in grado di muoversi coscientemente nello spazio e nel tempo e in grado di raccogliere contestualmente dati da ritrasmettere ad altri spime o a centri di elaborazione.
La realtà è oggi ancora lontana da questa utopia, come sembra testimoniare l’Osservatorio, ma il processo di evoluzione verso l’IoT ha assunto tale rilevanza da suscitare l’interesse dei grandi player. Più che di oggetti capaci però di connettersi alla rete si parla ancora di reti eterogenee che connettono oggetti che poco comunicano tra di loro, dove l’interazione tra i dispositivi finali è intermediata principalmente da gateway che di fatto separano le reti.
Queste limitazioni sarebbero superabili grazie all’eventuale affermarsi di uno standard ma al momento si assiste ancora al tentativo di imporre standard proprietari vs. standard realmente open, quindi siamo ancora lontani da quanto ipotizzato da Kevisn Ashton. E’ evidente che la cosa comincia a prendere piede ma per un definitivo cambio di marcia dobbiamo probabilmente attendere l’affermarsi di uno standard de facto.
Inoltre, probabilmente, al momento si ragiona soprattutto su come connettere oggetti esistenti creando reti ad hoc, mentre forse l’approccio dovrebbe essere quello di progettare oggetti capaci di elaborare informazioni e di essere interconnessi, pluggabili con sensori di natura diversa, il concetto di Spime di Sterling.
Ad oggi lo “Spime” più efficiente rimane lo smartphone, in grado di essere localizzato, connesso, raccogliere foto e video o far funzionare altre applicazioni. Il limite nel considerarlo realmente un oggetto interconnesso nell’accezione di IoT è che le sue funzioni sono essenzialmente pilotate dall’intelligenza umana, ma tra le migliaia di app disponibili ce ne sono alcune che lo rendono capace, in fondo, di autonoma capacità elaborativa, come l’app che sono in grado di georeferenziare le foto fatte da una camera esterna in base al sincronismo temporale.
Internet of Things e Web of Data descrivono uno scenario dalle potenzialità infinite
Al tema dell’Internet delle Cose si collega però a questo punto quello del Web of Data, l’altro grande trend del passaggio dal web 2.0 al X.0. su cui scommettono fortemente personaggi del calibro di Tim Berners Lee. Cosa succederà e di chi saranno questi dati raccolti in giro dai sensori?
Oggi nel mondo è in corso una grande migrazione di informazioni, conosciuta appunto come Web of Data, da un formato human oriented a un formato machine readable, con strumenti e standard quali RDF e Linked Open Data per consentire non solo di pubblicare informazioni ma anche di raggiungere un effettiva condivisione di esse, consentendone la rielaborazione e l’integrazione con altre fonti.
A maggior ragione queste informazioni, nativamente dati “grezzi”, dovrebbero essere rappresentate in un formato standard, in maniera tale da poter essere utilizzate anche da utenti estranei al circuito che le ha generate/raccolte avendo a disposizione la “terza gamba” di questo sistema ovvero gli strumenti che permettono di descrivere la semantica di tali dati. Potrei ottenere l’integrazione tra dati rivenienti da misurazioni quantitative sul campo con dati rielaborati dall’intelligenza umana e trattabili mediante elaborazioni automatiche.
Un sistema cosi integrabile descrive uno scenario dalle potenzialità infinite, un ulteriore grande passaggio della rivoluzione digitale in atto.
una versione più ampia di questo intervento si può leggere sul blog personale dell’autore
(C.C. da un’immagine Kirk Lau)