I documenti della persecuzione antisemita nell’Archivio storico Intesa Sanpaolo

di 27 Gennaio 2020 0

Si chiama Egeli l’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare che il fascismo istituì per acquisire, gestire e rivendere i beni eccedenti la quota di proprietà consentita ai «cittadini italiani di razza ebraica» dopo l’emanazione delle leggi antisemite del 1938 che vietavano tra l’altro agli ebrei di possedere immobili e beni di valore superiore ad una certa quota  fissata dalla legge. L’ente governativo conferì l’incarico a diversi istituti bancari in Italia tra cui in Lombardia la Cariplo, uno degli istituti confluiti con il proprio archivio in Intesa Sanpaolo. Ed è proprio dal lavoro di riordino e inventariazione del fondo Egeli della Cariplo  – in corso da circa due anni – che nasce la mostra  Storie restituite. I documenti della persecuzione antisemita nell’Archivio storico Intesa Sanpaolo, organizzata dall’Archivio storico di Intesa Sanpaolo in vista della Giornata della Memoria, alle Gallerie d’Italia a Milano.
300 faldoni d’archivio, 1500 pratiche nominative di cittadini ebrei italiani e stranieri che, a partire dal 1939, subirono un provvedimento di confisca e sequestro dei beni: “ognuno di questi oltre 1500 fascicoli di cittadini ebrei a cui sono stati espropriati i beni è la storia di una persona”, ha detto Barbara Costa, responsabile dell’Archivio storico di Intesa Sanpaolo e curatrice della mostra assieme a Carla Cioglia, che ha seguito il progetto di riordino e che nell’intervista al telegiornale del 22 gennaio scorso racconta il caso dei beni sequestrati al cittadino ebreo Cesare Costantini.
Queste storie personali sono le protagoniste delle carte esposte, solo all’apparenza mute o fatte di numeri ed elenchi, verbali di presa in consegna. Il percorso espositivo è basato sul racconto di sei storie emblematiche tratte dai fascicoli dell’archivio:   Eugenio Colorni, Rinaldo Jona, Aurelia Josz, Gino Emanuele Neppi, Piero Sonnino, Shulim Vogelmann. Queste biografie illustrano una sorte collettiva, assieme ai 1500 nomi delle persone e delle famiglie intestatarie dei fascicoli di sequestro, letti come un racconto corale, un frammento di condivisione della memoria del passato, da 60 dipendenti di Intesa Sanpaolo.

Copertina del fascicolo di esproprio dei beni immobili di Eugenio Colorni, 1939, Asisp, Fondo Egeli 

Regesta.exe, partner tecnologico di archivio storico di Intesa Sanpaolo ha seguito l’intero progetto.  La descrizione archivistica dei fascicoli personali del fondo EGELI è stata allineata attraverso tecnologie semantiche alla base dati dei Nomi della Shoah pubblicata in LOD dalla Fondazione Cdec rendendo possibile l’arricchimento delle descrizioni archivistiche con i dati biografici consultabili nella digital library del Cdec. Regesta.exe ha curato  la pubblicazione online dell’inventario, la realizzazione della sezione tematica Storie restituite dedicata alla mostra e un video – Vite interrotte – proiettato all’interno dell’esposizione.

Queste carte, restituite ai familiari, alla cittadinanza e agli studiosi  –  anche attraverso la realizzazione di siti accesso e consultazione online aperti a tutti –   consentono anche di poter lavorare e riflettere sulle nostre responsabilità, non delegando – come ha sottolineato Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione CDEC –  ai testimoni una testimonianza che ci ha permesso di liberarci della responsabilità della storia.

Un richiamo, aggiungiamo noi, alla responsabilità degli storici, alla necessità di non delegare tutta l’indagine storiografica sulla shoah alla voce dei testimonisu questi temi (il ruolo della testimonianza, degli storici, dei compiti della disciplina storica)  il dibattito storiografico, in tempi di celebrazioni civili per la ricorrenza della liberazione di Auschwitz e del giorno della memoria,  è aperto e vivace, ed è stato rilanciato da studi e pubblicazioni recenti (da Valentina Pisanty, I guardiani della memoria e il ritorno della destra xenofoba a Walter Barberis Storia senza perdono).

Gadi Luzzatto Voghera ha anche voluto mettere in evidenza l’importanza della condivisione e degli strumenti tecnologici alla base del progetto collaborativo: “Il progetto mette insieme delle istituzioni che lavorano sulla documentazione archivistica nel campo della digital humanities mettendo quindi a disposizione della piattaforme tecnologiche comuni dando così un valore aggiunto. È fondamentale infatti il lavoro di sinergia e di scambio dei dati tra le varie istituzioni per non incorrere in ripetizioni”. 


La mostra è visitabile alle Gallerie d’Italia – Piazza della Scala 6, Milano – fino al 23 febbraio 2020.