Shoah. Oltre gli anniversari

Raccogliere e conservare le testimonianze dei Testimoni della Shoah
di 28 Gennaio 2013 0

La cerimonia di inaugurazione del Memoriale della Shoah di Milano (domenica 27 gennaio 2013)  verrà ricordata, siamo certi, soprattutto per le dichiarazioni di Silvio Berlusconi su Mussolini, le leggi razziali e la “connivenza non completamente consapevole” degli italiani con i tedeschi.

Sopraffatti dalla cronaca, il rischio è di dimenticare presto l’occasione, il luogo e la circostanza in cui quelle dichiarazioni sono state rilasciate. Guardando le cose da un punto di vista più prettamente storico si corre un rischio ancora maggiore: dimenticare come e perché si è arrivati a quella cerimonia; come si è giunti a costruire in quel luogo un Memoriale della Shoah, a conoscere i nomi dei 1236 ebrei che proprio da quel binario vennero deportati ad Auschwitz.

Quei nomi che ai più appaiono come un dato di fatto, in realtà sono il frutto di un lungo lavoro di ricerca, di scavo negli archivi e di ascolto dei testimoni. E tutto questo lavoro di ricostruzione – di date, di arresti, di legami parentali, di destini – è stato svolto per anni da Liliana Picciotto e da un nutrito gruppo di collaboratori che fa capo alla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) di Milano.
Il CDEC, sin dagli anni ’60, è stato (e continua ad essere, per molti aspetti, anche ora) il centro propulsore della ricerca sulla Shoah in Italia. Lì è cominciata la conta dei deportati ebrei dall’Italia; lì è stata realizzata la prima banca dati informatica con nomi e dati anagrafici delle oltre 8000 vittime della Shoah italiana; lì si è formato uno dei più importanti archivi per la storia della Shoah e dell’ebraismo italiano fra Otto e Novecento che è tutt’oggi punto di riferimento imprescindibile per chi si appresti allo studio di questi temi.

Se la sfida più grande, 60 anni fa, per il CDEC, fu quella di “documentare” la Shoah italiana, oggi è quella di conservare al meglio questo patrimonio: fare in modo cioè  che l’ “era del testimone” prosegua nel tempo, a dispetto del tempo

Fondato  alla metà degli anni ’50 a Venezia per iniziativa di un gruppo di giovani della FGEI (Federazione Giovani Ebrei d’Italia); erede del Centro Ricerche Deportati Ebrei di Roma (1944-1953),  e gemello del parigino Centre de Documentation Juive Contemporaine, il CDEC nacque innanzitutto con lo scopo di creare un archivio di documenti e testimonianze, sulla deportazione degli ebrei da un lato e sulla Resistenza ebraica dall’altro.

“Scopo precipuo” del Centro, si legge nello Statuto del 1957, è “la ricerca e l’archiviazione di documenti di ogni tipo riguardanti le persecuzioni anti-semite in Italia ed il contributo ebraico alla Resistenza; la divulgazione dei dati acquisiti attraverso pubblicazioni, mostre ed altre manifestazioni”. L’attività del primo decennio di vita del Centro fu assorbita completamente dalla formazione dell’archivio e della biblioteca.  Ma già alla metà degli anni ’60, su impulso delle procure tedesche che svolgevano indagini sui crimini dei nazisti in Italia (Friedrich Bosshammer in particolare) e cercavano testimonianze di reduci, al CDEC cominciava un ampio lavoro di analisi e studio dei meccanismi della deportazione e soprattutto di elencazione dei deportati.
Così la prima lista di nomi, prodotta agli inizi degli anni ‘50 dal direttore del CRDE di Roma, Massimo Adolfo Vitale, si allunga e si precisa. E le domande cominciano ad aumentare: non più solo quanti ebrei erano stati deportati e come si chiamavano, ma anche: di chi erano figli? dove erano nati? dove erano stati arrestati, e per mano di chi? dove erano stati deportati? Quanti erano sopravvissuti?

Questa ricerca, cominciata più di quarant’anni fa, sfociata nel 1991 nella prima edizione del “Libro della Memoria” di Liliana Picciotto e nel 2012 nel sito-memoriale “I nomi della Shoah italiana”, è di fatto tutt’ora in corso, soggetta ad aggiornamenti e correzioni che, pressoché ogni giorno, ne affinano e precisano gli esiti.

L’evoluzione del CDEC, come centro di ricerca e documentazione sugli ebrei in Italia, non di rado ha anticipato tendenze e filoni della ricerca storica. Il fiorire degli studi sull’ebraismo italiano fra Otto e Novecento, cui si è assistito a partire dalla seconda metà degli anni ’80, per esempio, non è slegato dalle prime testimonianze che proprio i ricercatori del CDEC – Liliana Picciotto e Marcello Pezzetti in particolare – riuscirono faticosamente ad ottenere dai sopravvissuti, restii allora  a raccontare le drammatiche vicende delle quali erano stati tristemente protagonisti assieme alle loro famiglie. Il riemergere lento di quelle storie, insieme alla pubblicazione del Libro della Memoria con i nomi delle oltre 8000 vittime della Shoah italiana, contribuì senz’altro ad una rinnovata riflessione sulla storia dell’Italia fascista e, al contempo, ad un’inedita attenzione e interesse per la storia degli ebrei nell’Italia unita, sia fra gli studiosi che fra la gente comune.

Una storia particolare. Ebrei in Europa fra Otto e Novecento from Fondazione CDEC on Vimeo.

Questa tendenza “anticipatrice” di fatto prosegue, come testimonia anche la ricerca sui salvati ebrei (in territorio italiano) e i salvatori non-ebrei, avviata dal CDEC nel 2006 e che ha prodotto finora 650 video interviste e una banca dati di oltre 8000 nomi. Ebbene, nei giorni scorsi i maggiori quotidiani nazionali  hanno dato ampio rilievo all’accordo stretto dal Ministero della Giustizia con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per la promozione degli studi sugli italiani che dal 1943 prestarono soccorso agli ebrei!
La Fondazione CDEC oggi possiede un enorme patrimonio documentario costruito nel corso degli anni e comprende, oltre che un discreto numero di archivi privati, migliaia di testimonianze scritte e orali, una collezione di 40.000 fotografie digitali, quasi 1000 video-interviste, e un archivio sull’antisemitismo in Italia dagli ’60 in avanti.

Se la sfida più grande, 60 anni fa, per il CDEC, fu quella di “documentare” la Shoah italiana, oggi è quella di conservare al meglio questo patrimonio: fare in modo cioè  che l’ “era del testimone” prosegua nel tempo, a dispetto del tempo.

 

Laura Brazzo è archivista presso la Fondazione CDEC

Le immagini provengono dall’archivio della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea