Lavorare con le fonti: appunti sull’esperienza di “Senza rossetto”

di 11 Dicembre 2018 0

Wassily Kandinsky, Composition No 4, 1911

Nella primavera di due anni fa abbiamo avviato un serrato programma di raccolta di videointerviste, in giro per l’Italia, che ci ha consentito di raccogliere per ora quasi trenta testimonianze di donne che nel 1946 avevano votato alle prime elezioni in cui da quel diritto, anche in Italia, non erano più escluse. Il progetto e i risultati raggiunti (oltre sessanta ore di girato, il corto realizzato nel 2016 e il documentario appena terminato, l’archivio in costruzione) si devono all’intuizione e alla tenacia di Silvana Profeta ed Emanuela Mazzina che questo progetto hanno ideato, voluto e condotto.

Con “Senza rossetto” noi abbiamo innanzitutto seguito la nostra vocazione originaria, di occuparci di fonti, del loro trattamento digitale, della pubblicazione e condivisione di questi materiali, della loro rappresentazione. Il film, che ora Silvana ha realizzato partendo dal materiale raccolto e attingendo anche a repertori pubblici e familiari, ci ha poi dato la possibilità di proseguire  questa esplorazione di pratiche, mestieri e strumenti sulle capacità espressive di queste fonti.

Il film è molte cose insieme: un tributo alle signore che ci hanno affidato con generosità e partecipazione i loro ricordi; un’indagine sui meccanismi di costruzione, ricostruzione, conservazione e trasmissione della memoria; una narrazione collettiva e plurale, fatta di parole diverse e irriducibili, costruita attraverso esperienze e vicende personali sullo sfondo dei grandi avvenimenti del decennio a cavallo della seconda guerra mondiale. Per noi è stata un’occasione, forse insolita, di guardare come i “documenti”, lo sguardo irripetibile di ogni testimone, si traducano in un racconto, e come poi entrambi si offrano alla comprensione del pubblico o, forse sarebbe meglio dire, dei loro diversi “lettori”.

Nelle discussioni appassionate, nei continui ripensamenti del lavoro di montaggio, nelle incertezze e nell’euforia, la storia che si andava costruendo è sempre apparsa solo una delle possibili narrazioni sostenute da quel materiale. La costruzione narrativa, qualunque siano gli strumenti che vengano usati, non è mai neutrale, non vuole mai essere esaustiva. È sempre uno sguardo personale, curioso e originale, rivolto ad obiettivi conoscitivi specifici, frutto delle domande alle quali in quel momento si cercano risposte, della capacità di “ascoltare” e scegliere.

Racconto e archivio non possono essere altro che entità irriducibili. A chi spetta il compito di conservare e rendere accessibili quelle fonti compete, quindi, una responsabilità gravosa, certo non riducibile al solo profilo tecnico: quella di non sovrapporre la propria alla voce dei documenti che l’archivio raccoglie, di evitare la tentazione di esaurirne i significati e di essere capace, invece, di alimentare domande e sostenere tutti i racconti che contiene. Questo lavoro di conservazione e tutela non è per niente indifferente ai contenuti: è indirizzato dalle scelte che si compiono fin dalla fase di raccolta dei materiali, dai tagli operati, dalle scelte descrittive; è determinato dalle forme della pubblicazione e condivisione, infine, che richiedono di volta in volta una cura specifica per poterne rappresentare appieno tutta la ricchezza espressiva.

A questa impresa sono chiamate a collaborare competenze e sensibilità molteplici, saperi diversificati: ed è su questo terreno che abbiamo voluto, con il progetto di Emanuela e Silvana, confermare l’autonoma capacità di iniziativa e proposta di Regesta lungo tutta la filiera della produzione culturale, riaffermando uno specifico tratto distintivo del nostro modo di fare impresa all’interno di uno scenario caratterizzato dalla moltiplicazione dei luoghi, delle professioni e degli attori della ricerca e della produzione culturali.